Paura e delirio in Messico

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E’ guerra tra l’esercito messicano e i “signori della droga”di Domenico Spampinato

mex 1‘Questi ultimi sei anni sono stati un po’ come una montagna russa impazzita. Interminabile e sempre più pericolosa, giorno dopo giorno. Quasi non riesci ad accorgerti cosa stia accadendo realmente, solamente vedi volarne i vagoni. La persona che viaggiava davanti a te non c’è più. Le discese sono sempre più rapide e vertiginose. Semplicemente non puoi proprio immaginare come andrà a finire, chi ci sarà ancora. E soprattutto non puoi sapere se il pilota riuscirà a mantenere il controllo.’

L’immagine fornita da Marcela Turati fotografa efficacemente il Messico di Felipe Calderón, Presidente della Repubblica centramericana da sei anni a questa parte. Intervistata dal quotidiano spagnolo El País, la coraggiosa giornalista messicana ha illustrato alcune delle questioni critiche in cui versa la sua popolazione.Non se ne parla mai a sufficienza: sostanzialmente il Messico vive in uno stato di vera e propria guerra civile, almeno da quando Calderón ha deciso di schierare l’esercito contro i cartelli del narcotraffico.

Roberto Bolaño vi scrisse un romanzo: 2666 narrava con scrupolosità un contesto che poco ha a che fare con la fiction, a ben vedere. A conferma di ciò, si veda il prezioso lavoro di quei quotidiani occidentali più aperti verso le annose questioni “latine”, che sulle sparatorie quotidiane e sui cruenti delitti accaduti in Messico sfornano aggiornamenti a cadenza regolare, tra tutti ‘El Mundo’ e il ‘Guardian’. Una grossa fortuna, inutile negarlo. Perché in patria se ne parla un po’ meno. Com’è ovvio che sia: pensarlo come un paradosso risulta quasi impossibile, considerato il grosso rischio che ogni giorno corrono i reporteros messicani.

La metafora di Marcela Turati è suggestiva, riassume alla perfezione un contesto difficile da analizzare. Tuttavia, integrarla con qualche dato può essere utile. In sintesi, ecco quello che è accaduto negli ultimi tre mesi.

A Monterrey il 26 agosto scorso hanno perso la vita 53 persone, vittime di un incendio scoppiato al Casinò Royale (foto). Probabile regolamento di conto tra le bande locali. Nemmeno un mese dopo, a Veracruz 35 cadaveri sono stati ritrovati per le strade della città (21 settembre). Accanto ai corpi delle vittime, un messaggio indirizzato al clan de “Los Zetas”. Chiaro il destinatario, non altrettanto il mittente. Alcuni giorni dopo (25 settembre), uno strano video circolerà in rete. Gli autori si fanno chiamare i “MataZetas”,  si definiscono il braccio armato del popolo e dichiarano che il loro unico obiettivo è “farla finita con il cartello degli Zetas” perché “solo combattendovi ad armi pari è possibile sradicare il problema alla sua radice”.

Questo, a quanto pare, il movente di una nuova formazione paramilitare nata in rappresentanza e a tutela della società “civile”. Il gruppo tenterà di rassicurare i cittadini, loro “non compiono estorsione alcuna, non operano sequestri di persona né intendono attaccare alcun patrimonio”. Rivendicano la mattanza di Veracruz, chiedono che le autorità e la società civile confidino in loro, li supplicano di appoggiarli, qualora necessario. Un’impresa ardua, perché il cartello dei “Los Zetas” è uno tra i più potenti e pericolosi assieme al clan di Sinaloa. Uno scenario letteralmente impazzito. Del resto non potrebbe essere altrimenti, quando ogni componente della società si sente legittimato ad utilizzare la violenza.

Si scoprirà in seguito che sotto l’ombra dei misteriosi Matazetas si nasconderanno ulteriori organizzazioni criminali, in qualche maniera affiliate al cartello di Sinaloa, principale contendente dei Los Zetas al confine nordamericano. A seicento chilometri dal quale il 24 novembre la polizia statunitense catturerà quattro Zetas: un arresto avvenuto giusto una settimana dopo la detenzione di Alfredo Alemán Narváez, comandante “alemán” degli Zeta.

Può essere questo considerato un successo, per il Presidente Calderón? Assolutamente no. Proprio nel medesimo giorno in cui la polizia ha compiuto la sua prestigiosa retata ai danni dei “Los Zetas”, questi si faranno sentire con due nuove mattanze: 24 morti a Sinaloa, 26 a Guadalajara. La violenza si estende a macchia d’olio, cominciando a coinvolgere quei centri che un tempo venivano considerati relativamente tranquilli.

Dov’è lo Stato, in Messico? Purtroppo tale domanda ha una risposta ben precisa: da quando Calderón è presidente, hanno perso la vita circa 45.000 persone, alle quali vanno aggiunti circa 5.000 desaparecidos. La violenza è all’ordine del giorno, addirittura si stima che il 10% delle vittime siano bambini d’età uguale o inferiore ai cinque anni. Quando la vittima è una donna, 99 volte su 100 il caso viene archiviato. Frequenti i casi di corruzione, tra magistratura e polizia. Molte delle carceri non servono a nulla, giacché i detenuti continuano a comandare dentro e fuori le carceri. Si direbbe che qualcosa non vada per il verso giusto, nel Messico di Felipe Calderón.

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