Il nuovo e il vecchio horror della politica italiana
Nella marea di incertezze della nostra vita quotidiana, ritornano i demoni del passato ad ingrossare le nostre paure sul presente e sul futuro
di Raffaele Meo
L’altro giorno, leggendo i quotidiani, mi è saltato agli occhi un titolo in particolare: “C’è l’accordo, si vota il 10 marzo“. Quella parola, “voto”, è stato come un campanello d’allarme per me, come quando si sta da soli a casa, dopo aver guardato un film horror, e si sente un rumore nella camera vicina. Anche se si sa che non c’è nessuno, che non si corre alcun pericolo, si insinua nella nostra mente quella paura di non sapere come affrontare la cosa. Si va a controllare? Si rimane fermi, facendo finta di non aver sentito nulla? C’è qualcuno? E’ caduto qualcosa? Sì, ma chi o cosa l’ha fatto cadere? Tutti pensieri che ci ronzano per la testa, spinti da una sola cosa: la paura.
Già, la paura. Dopo un film horror si ha sempre la mente suggestionata, quindi è normale pensare (e al limite agire) in maniera irrazionale, guidati da una delle sensazioni più radicate nel nostro cervello, che scatena i nostri istinti primordiali. Lo chiamano istinto di conservazione. Il parallelismo può sembrare un po’ forzato, ma basta aprire la finestra e guardare di sotto, a quello che accade nel nostro Paese, per capire il nesso che c’è tra la vita politica italiana e un film di Dario Argento.
Il protagonista designato di questo capolavoro è lui, il nostro Presidente del Consiglio, il Prof. Mario Monti. Era stato chiamato a salvarci dal male, dallo spread, dal debito pubblico, dal commissariamento UE e dalla politica corrotta. Un anno per trasformare questo paese in uno stato moderno, per uscire dalla Seconda Repubblica e cancellare, definitivamente, l’eredità della Prima.
In principio sembrava davvero il cavaliere senza macchia, nonostante le malelingue che sollevavano dubbi per il suo passato “oscuro” all’interno delle banche. Eravamo convinti che lui possedesse la ricetta per salvarci. E’ stato davvero così?
Domanda più che mai legittima, se si parla di elezioni. Sì perché, tra le varie ipotesi, appare sempre più frequente l’idea di un “Monti-bis“, un sequel per chi non è ancora soddisfatto dal primo capitolo. Solitamente, prima di girare il seguito di un film, si sonda il pubblico per vedere come sarebbe accolta la pellicola, ma qui sembra che siano gli operai del set a chiederne ancora. Perché sono stati i nostri politici i primi a sostenere questa idea.
Probabilmente spinti dalla paura di non riuscire a governare un paese in piena crisi, in un periodo di crisi globale, quando fra l’opinione pubblica serpeggia il demone tentatore dell’antipolitica, la scelta migliore sembrava ancora quella di addossare le colpe alle spalle larghe del nostro eroe. D’un tratto, la svolta: gli italiani non vogliono Monti, con la sua austerity, con il suo “governo di banchieri”, con la sua politica. E allora, che fare? Giù, tutti a cavalcare l’onda contro il Professore, a minacciare di togliere il sostegno al governo tecnico, però con moderazione, finché non si vedano i risultati sull’opinione pubblica.
Propaganda elettorale. E’ questo il nome corretto da attaccare come etichetta su tutti questi cambi di rotta. Anche perché c’è ancora qualcuno convinto che Monti debba restare o che debba scendere in campo, come nuova figura politica democraticamente eletta, questa volta.
Senza troppi giri di parole, la politica del nostro Paese non sa se è ancora pronta per riprendere il timone, perché è difficile mantenere un mandato elettorale in un periodo come questo. Servono scelte impopolari, bisogna mediare fra le richieste dell’UE e i bisogni dei cittadini, scontentando matematicamente entrambe.
Per una politica che si è fondata per quasi 20 anni sulle chiacchiere, sulle promesse e sulla più assoluta ignavia parlamentare, è davvero dura. Servono idee, servono progetti, e allora li si ruba, si prova ad andare in Tv con qualche idea soffiata a qualche politico estero, incollata insieme ad altre su un foglio di carta e spacciata come programma. Aria fritta.
Fa un bel parlare Zagrebelsky. In un intervista a “la Repubblica” parla del suo progetto, provando a spiegare la ricetta per il partito perfetto. Disegna con maestria lo scenario del nostro Paese, prova a riproporre la Costituzione come elemento ispiratore per i partiti, svela la pochezza dei politici, dei loro programmi e afferma con forza che ormai non si fa più politica, ma che si parla a vuoto di cose che non si conoscono. Aria fritta anche per lui.
Proprio lui, che ha affermato che si parla di cose scontate, che nessuno ha il coraggio di fare un programma vero. Ma noi cittadini sappiamo che esiste la Costituzione e sappiamo anche benissimo cosa c’è scritto. Il problema non è di ordine filosofico, ma pratico. Quando non c’è lavoro, non ci sono soldi, non ci sono più diritti, si vede lo spettro del fallimento del proprio Paese, delle sue istituzioni, si può ancora venire a propinare chiacchiere?
Non dobbiamo sorprenderci se poi i movimenti estremisti prendono piede, se veniamo invasi da personaggi con bandiere anacronistiche, siano pirati, siano svastiche, siano falci e martelli. E’ lo sfogo di chi non ce la fa più, di chi cerca una risposta concreta per la propria sopravvivenza, mancando clamorosamente il punto. E’ il futuro a spaventarci, non il passato.
E’ la paura, proprio come dopo un film horror, a guidare la nostra mente. Questa si trasforma poi in rabbia e lo si vede nelle strade, durante le manifestazioni. Poi la rabbia si trasforma in rassegnazione, il terreno più fertile per il santone di turno, con la sua retorica del “nuovo” e la promessa di una salvezza che non peserà sulle nostre spalle.
Di “nuovo” ne abbiamo visto abbastanza: è per questo che molti si rifugiano nel vecchio. Come biasimarli? Quando leggi sui giornali che, forse, tutte queste tasse, queste difficoltà, questa austerity si potevano risparmiare, che forse questo anno di sacrifici non è la ricetta giusta, è normale rimanere di stucco. Forse? Ora vi viene in mente? E questi tecnici, allora, a cosa servivano?
Non nego di aver sostenuto più volte, sulle colonne virtuali di questa testata, il governo dei tecnici. Forse memore del passato, dei tecnici precedenti, che ci hanno traghettato nei momenti più difficili della nostra storia, avevo tirato un sospiro di sollievo. Leggendo, poi, il “diario di bordo” di Monti sull’operato del suo governo, ho decisamente perso le speranze.
Il Professore recita, affermando che ora il nostro Paese “può guardare più serenamente al proprio futuro“. Io, per ora, ancora tremante di paura, vado a vedere nella camera vicino a cosa era dovuto quel rumore, sperando solo che sia la suggestione per il film appena visto e non la realtà che mi è venuta a trovare.
(fonte immagine: http://whatwouldtotowatch.com)