Non c’è pace tra le urne

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L’interesse partitico intralcia calendario e riforma elettorale, all’insegna del non-cambiamento

di Adalgisa Marrocco

Le elezioni si avvicinano e il Quirinale si mette in allerta, lancia moniti, pacifica gli animi, cerca di portar ragione dove l’interesse politico ragione non conosce.

E’ così che Giorgio Napolitano decide di convocare presso il Colle i presidenti delle Camere e Mario Monti, suggerendogli come auspicabile per lo svolgimento di Politiche e del voto regionale in Lazio, Lombardia e Molise la data del 10 marzo prossimo. Ma il Colle tuona, tenendo anche a precisare come per le Politiche viga un’ineludibile condicio sine qua non: prima fate la legge elettorale, poi votate.

Questo l’istituzionale desiderio espresso dal presidente della Repubblica, dettato dalla consapevolezza che sarebbe autodistruttivo per il Paese, considerata anzitutto la complessa situazione politico-sociale, gettare alle ortiche la speranza di vedere riformato un sistema elettorale che da troppo tempo non funziona e che “premia” (nel senso più ampio del termine) come non dovrebbe “premiare”.

E se si tratta di riforme o anche semplicemente di date da stabilire, poi le polemiche, lapalissianamente, si sprecano. Così il Pdl dice ‘no’ al voto regionale che il ministero dell’Interno vorrebbe fissato per il 10-11 febbraio,  portando avanti una personale (o personalista?) battaglia per la scelta election day.

Infatti, dopo il comunicato pro-voto unico della presidenza della Repubblica, Angelino Alfano ha colto la balla al balzo per twittare: “Ok comunicato Quirinale. Si va verso l’election day, prevale buonsenso, prevalgono nostre buone ragioni. Risparmiati 100 milioni”. Certamente lodevole l’interessamento dell’erede berlusconiano rispetto alla salvaguardia delle casse statali, peccato però che in passato, col Pdl al governo, le proposte firmate Maroni di accorpare le tornate elettorali in un unico giorno fossero state respinte con tutt’altro che assennatezza.

Ma se è vero che solo gli stupidi non cambiano idea, allora il Pdl di materia grigia e scaltrezza deve invece possederne davvero tanta: ora si ama l’ex odiato election day perché, con un’unica tornata elettorale, Alfano & co. si risparmierebbero due distinte sconfitte consecutive alle urne.

Mentre Alfano si occupa del calendario, il pidiellino padre nobile, tra un attacco e l’altro alla magistratura, torna anche a puntare il dito sui “disastrosi dati economici dei tecnici” e sui partiti che hanno reso “disgustati” i cittadini.

Così Silvio Berlusconi torna in veste di anima pura della politica italiana, quasi illudendosi di aver presieduto un governo che ha tutelato le sorti economiche del Paese e di non esser stato uno degli artefici dello sfracello della partitocrazia italiana. Sarà questo l’incipit della nuova campagna elettorale berlusconiana? Parlerà il tempo ma, eventualmente, parleranno anche le schede elettorali che ormai non potranno più sorridere al Cavaliere.

Se Berlusconi gioca il novantesimo minuto da titolare in politica, nuovo a scendere in campo è Montezemolo, sponsor della centrista Italia Futura. Una lista che strizza l’occhio al Monti-bis, proponendosi idealmente come forza di “ricostruzione” verso la Terza Repubblica.

C’è voglia di trasformazione, dappertutto. Il centro-sinistra vuole rottamare con un rottamatore che sa di già visto, il Movimento 5 Stelle si erge a “ultima speranza di una rivoluzione senza violenza” e poi soffre di faide interne, perfino il Pdl fa parlare Alfano di ricambio ai vertici davanti ad una platea composta da Gasparri, La Russa, Carfagna e Ravetto.

Più rinnovamento di così, si muore.

(fonte immagine: http://affaritaliani.libero.it)

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