Spagna: non è un Paese per giornalisti
Dall’inizio della crisi piú di 8 mila giornalisti sono stati licenziati, ma è un numero destinato ad aumentare
di Maria Bonillo Vidal
Gli ultimi licenziamenti del quotidiano “El País” sono solo un piccolo tassello della più generale crisi giornalistica della Spagna. La loro storia può darsi sia più famosa di altre perché si parla pur sempre del giornale spagnolo più famoso al mondo, ma dall’inizio della crisi si contano quasi 8.000 redattori licenziati, secondo dati della Federazione dei giornalisti spagnoli (FAPE), ai quali si devono sommare i neo-laureati delle facoltà di giornalismo pubbliche e private, che non vedono nessuna possibilità di lavoro dopo cinque anni di studi.
I nomi dei 129 lavoratori cacciati la settimana scorsa da “El País” hanno invaso le bacheche dei social network e hanno provocato, nei giorni successivi, un vero tsunami di solidarietà (mista a tristezza) verso chi svolge questa professione, ancora troppo penalizzata e mal vista. Un dato ha colpito l’opinione pubblica, mentre si procedeva al licenziamento – per motivi economici – dei redattori del quotidiano progressista: il presidente di Prisa, Juan Luís Cebrian, una delle figure piú importanti durante la transizione democratica del Paese dopo la morte del dittatore Franco, guadagna circa 13 milioni di euro l’anno.
Con il compenso che percepisce Cebrian si potrebbero pagare gli stipendi di quel terzo del personale fisso della redazione, piombato ora nel piú nero dei futuri immaginabili: si tratta di gente che, in molti casi, aveva dedicato più di trent’anni della propria vita al giornale. Indigna sapere che le persone licenziate avranno un indennizzo pari solo a 20 giorni annui di retribuzione. La persona che fece del progressismo la propria bandiera e si distinse come una delle migliori “penne” nel post-franchismo, oggi sta portando avanti spietate rimozioni in tutti i giornali, riviste e altri media del suo gruppo, sempre nelle peggiori delle condizioni per i giornalisti coinvolti.
Ma, come dicevamo, la situazione di “El Paìs” è solo la punta dell’iceberg relativo al disastro esistente nel giornalismo iberico. Entro Natale si effettuerà un vero massacro nella televisione pubblica regionale della Comunità Valenziana: saranno licenziate 1.200 persone e ne rimarranno in pianta stabile “solo” 500. Va detto che Radiotelevisione Valenciana (RTVV) è enorme. Ha piú lavoratori di Antena 3 e Telencinco (Mediaset) messe insieme ed ha contribuito a manipolare l’informazione in tutta la regione. Tuttavia, solo ora che gli anni di bonaccia e di prosperità economica sono terminati e che i soldi pubblici – portati via da vari casi di corruzione – non ci sono più, ci si accorge che i giornalisti sono un peso da buttare via.
La storia si ripete simile in tutte le regioni, dall’Andalusia alle Asturie. Tutte le testate leader di queste comunità autonome stanno sottoponendo le proprie redazioni a forti cure dimagranti. Prima della crisi, circa 50 mila giornalisti avevano lavoro. Adesso, sono il 20% in meno di allora.
Sono dati preoccupanti, che fanno riflettere. Dove andranno i giovani “meglio preparati della storia” appena usciti dall’università? In un Paese con il 52% di giovani senza un’occupazione, allontanarsi dalla Spagna sembra essere diventata l’unica via di fuga dalla disperazione. Dove andranno i “vecchi leoni” del giornalismo cacciati via? Anni di esperienza, tutta una vita dedicata a un mestiere che non vuole saperne di orari e di vita familiare, saranno sacrificati per far posto agli stipendi milionari dei grandi manager delle imprese editoriali, alla corruzione e alla degradazione di questa professione. La Spagna, adesso, non è un Paese per giornalisti.