Liberi di scrivere come Diritto comanda
La chiamano libertà di stampa, nasce secoli fa per ritrovarsi oggi ancora in fase di pubertà
di Martina Martelloni
È trascorsa una settimana, sette giorni dal voto segreto a Palazzo Madama che ha introdotto la pena detentiva per i giornalisti colpevoli di reato di diffamazione. La voracità decisionale delle Istituzioni politiche sulla complessa tematica dell’informazione mediatica, è, come ben sappiamo, frutto dell’ altrettanto vorace vicenda Sallusti, direttore de Il Giornale condannato in via definitiva ad un anno e due mesi di reclusione per aver avallato e pubblicato nel 2007 un articolo diffamatorio firmato Dreyfus su un caso di aborto di una minorenne.
L’allora direttore di Libero più volte si è fatto vanto di rifiutare qualsiasi tipo di condanna contrattabile diversa dalla galera. O libero o in gabbia. Di ieri l’ultima notizia capovolgi-questione: è stato presentato al Senato un emendamento al Ddl sulla diffamazione. Autore della modifica il Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli. La novità introdotta prevede l’incarcerazione se cronista è il tuo mestiere, multa pecuniaria dai 5mila ai 50.000 euro se ti firmi Direttore di giornale. Sallusti di certo, ora non predicherà il carcere in onore della sua dignità.
Diverse voci hanno espresso nei giorni scorsi opinioni sull’emblematica vicissitudine. Il vicepresidente del CSM, Michele Vietti, si pone in pieno disaccordo con l’eventuale pena carceraria per i giornalisti e affida alla Procura competente la decisione di procedere agli arresti domiciliari. Stesso filo conduttore ma con più rabbia e convinzione negli occhi, è la immutabile parola dei rappresentanti dei Comitati fiduciari di redazioni, che ha unito e fasciato in un unico pensiero, i membri del Fnsi (sindacato unitario dei giornalisti italiani) con la controparte Fieg (Federazione Italiana editori giornali).
Tutti sul palco per sfidare la legislazione sulla diffamazione in mano ai parlamentari. Niente spettacolo propagandistico pro-anarchia per stampa, il loro è piuttosto un invito a innovare l’attuale situazione del giornalismo italiano provvedendo ad una maggior tutela del cittadino nell’essere informato. Questo può essere realizzato con un crescente numero di garanzie e proposte di riforma dell’Ordine dei giornalisti introducendo anche la figura del Giurì per la lealtà nell’informare ed essere informati.
Al di là del fatto in se e per se, osservando il tutto da una vetta più alta, ci si accorge che l’estenuante questione della libertà di stampa non conosce riposo. Quanti ne assaporano davvero il nettare vitale di quello che nei secoli ha concesso a tutti di poter sapere come gira il Mondo, quanti ne vedono il reale valore insito di un diritto costituzionale che fa di un Paese un territorio sul quale poter vivere democraticamente, e quanti se ne curano per la sua incolumità?
La libertà di stampa, in Italia, ha origini lontane, non troppo in verità. Siamo nel 1848, lo Statuto Albertino disciplina nell’art. 28 che “la stampa sarà libera ma una legge ne reprime gli abusi”. Ha inizio così la conturbante e tormentata storia della libertà di informazione. Nel XX secolo, le cose non vanno per la migliore. C’è l’epoca fascista, il che implica più doveri che diritti, controlli e censure all’ordine del giorno. Chi scrive o è di fede fascista o niente.
Fine della Guerra, fine di un regime. Con la Costituzione del 1948, l’art. 21 è tutto per lei: “Tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Ancora più mirata, la legge n° 47 del 1948 è totalmente sulla libertà di stampa. Si introduce l’istituto della registrazione per le testate giornalistiche e quello della rettifica nei casi di pubblicazione di falsa notizia in risposta alla tutela del diritto alla propria reputazione e alla corretta divulgazione del sapere.
Trascorrono vent’anni, un’ondata di cambiamento nel 1963 colpisce l’Albo dei giornalisti con la legge n° 69. Per troppo tempo si è trascinata la legislazione fascista mutata nel suo essere vergognosamente a mezzi e fini politici. Cambiano dunque i criteri di selezione non più legati al colore di partito ma a qualità professionali.
Nonostante la valanga di diritti e doveri in nome della sana e pura informazione, che sono stati introdotti, accettati ed osannati dalla nascita della Repubblica, la fase di crescita della libertà di espressione in Italia è lenta e talvolta deviata. Troppe restrizioni delle volte o eccessiva indifferenza in altre, che crea caos e disinformazione.
Diritto tende la mano al dovere, se uno manca, l’altro non sussiste. Per goderne totalmente nel pieno della sua pienezza, occorre non abusarne a discapito di altri. La tutela spetta alle cose fragili, la libertà di espressione, parola e dunque di stampa è forte nel suo essere ma va protetta e curata nel suo processo di sviluppo. Alimentata, adeguata alle esigenze sociali e valorizzata per quello che offre.
“La libertà di stampa è uno dei più grandi bastioni della libertà e non potrà mai essere ristretta se non da governi dispotici”, così veniva scritto nella Dichiarazione dei diritti della Virginia (Stati Uniti, 1776). Il colosso americano stampa giornali e quotidiani dal 1721 con la prima uscita del New Englad Courant.
Negli Usa questo diritto è sancito dal Primo emendamento della Costituzione, nero su bianco. Scripta manent. Oggi scrivere, pubblicare, essere giornalisti negli Stati Uniti d’America è sinonimo di democrazia.
Alziamo gli occhi all’Europa del freddo nord: l’Inghilterra avanguardista inizia a sussurrare la parola libertà di stampa già durante la rivoluzione del 1688. Simbolo e procace sostenitore del diritto della piazza ad essere informata fu Milton con il suo concetto del “mercato aperto delle idee, dove solo i buoni argomenti prevalgono”. L’inglese Mill amava invece parlare di verità che può nascere esclusivamente dalla libertà di opinione, cura essenziale per la società.
Il termometro della libertà di stampa varia gradazione da Paese a Paese. Nel 2012 l’Italia è “orgogliosamente” posizionata al 61° posto, ottimo punto d’osservazione, direbbero alcuni, di un’altura decisamente più avanzata, più aperta e umanamente accessibile quale è la restante classifica al di sopra di noi capitanata dalla Finlandia. Questa è l’ultima statistica di Reporters without borders che non si limita alla facilità di esprimersi attraverso il giornalismo, ma scava in profondità scrutando sul reale stato di fatto della salute di questo diritto. Il quarto potere non sempre è tale.
Sottile è la linea che separa libertà da anarchia. Occorre saper distinguere la naturale indole all’essere libero di esprimersi dalla dannevole facilità di farlo male e soprattutto a discapito della comunità e di chi si nutre di informazione, cioè tutti. Capire protezione e tutela è cosa che spetta non solo al podio dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Tocca ad ognuno di noi conoscere sensibilmente la sfera di libertà altrui, avendone cura e rispetto così da non disinformare nessuno. Per chi ne avrà voglia e curiosità, un ulteriore approfondimento su questo argomento sarà sviluppato nel nostro approfondimento sulla libertà di stampa della prossima settimana.