Essere giornalisti in Italia
Inseguire una professione, che di fatto professione non sempre è mentre politica e magistratura dibattono ancora ed ancora sul modus vivendi della Libertà di Stampa
di Martina Martelloni
Essere giornalisti in Italia, implica fatica e perseveranza nel voler fare di una passione un mestiere. Oserei definire il Giornalismo, un’arte di raccontare a chiunque, al di là dei soldi in banca e del grado di istruzione, la vita che freneticamente rotola e srotola intorno alle nostre teste.
La determinazione e testardaggine tipica di chi crede in questa professione, assume intensità stratosferiche in uno Stato di diritto, quale è l’ Italia, dove chi scrive talvolta si ritrova , guantoni in mano, a dover lottare con i poteri della vetta che in un modo o nell’altro, che sia per promozione o distruzione, si legano come fili sulle dita della mano scrivente. Ne orienta i movimenti, ispira le parole, suggerisce la via da seguire nel voler raccontare.
Questione della settimana, o meglio degli ultimi due mesi: reato di diffamazione e caso Sallusti. Emersa la vicenda dell’ex direttore di Libero, in quattro e quattrotto le autorità politiche han abbozzato un ddl sulla questione in atto, quello che in molti chiamano con l’appellativo “Salva-Sallusti”. Dopo giorni di continui sbalzi di umore tra una seduta e l’altra del Parlamento, il voto segreto di lunedì 26 novembre ha decretato un ‘no’ di Palazzo Madama all’articolo 1 del disegno di legge riguardante l’incarcerazione per i cronisti colpevoli di diffamazione a mezzo stampa, ed una più contabile e veloce multa pecuniaria per i direttori responsabili delle testate in questione.
Le cifre del Senato sono stati elevati ma non vicini all’unanimità: 123 contrari al carcere, 29 favorevoli e 9 astenuti. Numeri che decidono su altri numeri per riformare una legge che ancora oggi non degna di certo l’Italia di una alta reputazione in tema di libertà di espressione.
E mentre al Senato si votava, la procura di Milano inviava il mandato agli arresti domiciliari per il direttore de Il Giornale. Alessandro Sallusti sconterà la pena per reato di diffamazione nel modo più indegno secondo il suo pensiero, dichiarando di sentirsi privato della libertà di movimento e compresso da una forte violenza psicologica: “ Non c’è la violenza fisica del carcere ma quella psicologica della mancanza di libertà e di agibilità. Non vorrei che la Procura per senso di colpa mi abbia omaggiato di un trattamento di favore”. Si definisce poi vittima di ingiustizia e isolato dalla categoria di sua appartenenza.
Essere giornalisti in Italia significa anche e soprattutto avvalersi del diritto di sciopero per poter far ascoltare il proprio silenzio. Assenza di informazione per un solo giorno che cela un disagio e un senso di sconfitta perenne di chi, da giornalista di professione o da chi impiega anni per poterlo essere, cosciente di rivestire il mantello della precarietà per lungo tempo, tenta di elevare in alto sempre più in alto la qualità e la preziosità del diritto all’informazione.
Eppure, quello dello scioperare non a tutti sembra essere cosa buona e giusta, per dirla in termini cristiani. Il numero ‘vincente’ nel Giornalismo italiano, è proprio quello dei precari, inseguitori di un sogno riversato in un mestiere diviso tra casta da una parte e sciame di giovani o meno giovani che sentono di esserlo pur non conoscendone i privilegi e i riconoscimenti.
Quello di lunedì doveva essere un incrocio di braccia dell’intera categoria capitanata dalla Federazione Nazionale della Stampa e dalla Fieg (Federazione italiana editori giornalisti). Cos’è stato invece? Un tira alla fune con la classe politica che alla fine ha alleviato i toni convincendo i giornalisti, con un comunicato del Presidente del Senato Schifani, ad evitare lo sciopero.
Ritornano dunque quei numeri decisivi e decisori, le alte cariche rappresentative del sindacato dei giornalisti hanno accolto l’invito politico. E così quella massa di apprendisti, precari o meno che siano si son visti scivolare di mano la possibilità di farsi valere restando in silenzio per quel lunedì 26 novembre. Giornata di voto, giornata di verità.
Quello che si vuol vedere crescere, è una stima maggiore verso la stampa italiana, una stima dettata dalla reale qualità ed attinenza alla realtà insita nel giornalismo , quello con la ‘G maiuscola’ che nella Storia ha avuto forma sotto tante mani e dentro tante menti di scriventi italiani ricercatori della verità e assennati riportatori di vita reale.
Sciopero dunque annullato, in cambio una fiaccolata di rimedio organizzata per la stessa giornata. Nella sera di lunedì si è svolto al Pantheon un raduno luminosi di giornalisti agglomerati per l’occasione dal Fnsi, con l’intento di manifestare il dissenso a leggi-bavaglio e oscuramento delle verità sempre in nome di quel divino Diritto di informare ed essere dignitosamente informati.
Complessa e aggrovigliata è dunque la cornice che circonda la Libertà di stampa in Italia. Ad oggi non c’è ancora chiarore nell’aria su come l’essere giornalisti può e deve realizzarsi in un contesto giuridico e politico altrettanto ammassato e complicato.
Basterebbe riformare una legge per anni ed anni rimasta tale, apportando modifiche di apertura, protezione, tutela, godimento pieno della libertà di stampa. Basterebbe fornire garanzie ai cittadini per far si che la valanga delle informazioni presenti, non sia travolgente ma coinvolgente, veritiera e lontana da quelle frivole notizie socialmente inutili frutto di una comunicazione sempre più superficiale e distaccata dal sostanziale accadimento dei fatti meritevoli di essere raccontati. L’interesse spazia così come il giornalismo, che detiene però la responsabilità delle parole e dell’autenticità delle notizie.
(fonti immagini: articolo21.org; ibtimes.com)