La Grande Russia e la Siria di Assad
La guerra civile che incombe nel territorio siriano divide le nazioni più potenti: Mosca non riconosce la Coalizione nazionale Siriana.
di Martina Martelloni
Quel colosso che una volta dominava l’intera regione euroasiatica, che allargava i suoi confini su terre dalle culture promiscue, lingue diverse, religioni contrastanti, oggi non c’è più. Al suo posto, c’è la Russia: come ai tempi dell’Unione Sovietica, la sua influenza politica supera i suo confini nazionali.
Ogni santo giorno in Siria si combatte e si muore per estirpare un regime repressivo che da anni, troppi anni, guida il Paese con estrema autorità. Bashar al Assad non cede le armi e neppure il potere. Di fronte a tale sconforto umano, la comunità internazionale stenta ad intervenire. Difficile è capire come poterlo fare per non alterare la già disastrosa situazione politico-sociale vigente.
Due settimane sono trascorse, da quando tutte le forze d’opposizione siriana si sono unite in un unico raggio d’azione. Nella capitale del Qatar, Doha, si è dato vita alla Coalizione Nazionale Siriana con a capo Mouaz el Kathib, uomo dalla forte fede islamica ma dallo spirito laico. In men che non si dica, le più grandi democrazie mondiali hanno positivamente riconosciuto tale raggruppamento come rappresentanza legittima del popolo siriano: tra queste, Stati uniti, Francia, Inghilterra, Italia e poi i Paesi del golfo – nonché la Turchia, prima rifornitrice di armi alla guerriglia ribelle anti-Assad. In questo scenario geopolitico, la Russia si tira nuovamente indietro.
Come già accaduto questa estate, Putin e Medvedev escludono qualsiasi possibilità di rafforzamento proveniente dall’esterno nei confronti delle opposizioni siriane. Dopo il veto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, teso a bloccare un intervento delle forze armate internazionali a Damasco, la Russia persevera nel sostenere una posizione di neutralità “fisica” in quanto non considera Assad e i suoi adepti un reale pericolo da dover eliminare.
Portavoce di un messaggio di contrarietà ad una ingerenza marchiata Onu in Siria è il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov. Nel mese di ottobre, furono sue le parole di accusa contro quei Paesi che hanno come obiettivo il controllo della regione e l’indebolimento dell’Iran: ”Unica soluzione è il coinvolgimento e non l’isolamento, che è tattica occidentale, per tagliare le radici del regime” .
Avvalendosi del diritto di autodeterminazione dei popoli, Medvedev e i suoi giustificano così il loro interesse a mantenere distante la situazione siriana dal resto del mondo, e ancor prima, dal resto della regione diventata ormai una polveriera. Questa è la fotografia, ma dietro c’è tutt’altro. La Russia di certo non appoggia Assad per questioni puramente legate alla negazione di una guerra che coinvolga Stati terzi, i motivi sono ben altri. È l’interesse a spingere Mosca verso la Siria.
In primo luogo, l’alleanza tra i due Paesi è ormai consolidata: una caduta del regime comporterebbe la messa in discussione anche della posizione russa. E poi, ci sono loro, le navi russe ormeggiate nel porto siriano di Tartus, strategico sbocco sul Mediterraneo. Infine, l’ormai risaputa vendita di armi a Damasco.
A tenere alto il vessillo del Non-intervento vi sono anche la Cina, l’Iran e l’Iraq. Ebbene, proprio allo Stato iracheno, la Russia non molto tempo fa ha venduto una vasta gamma di armi e rifornimenti energetici condividendo così, anche con patti commerciali, la comune visione sull’intera area mediorientale. Il leader iracheno Nuri al Maliki, orgogliosamente sciita, sostiene Assad e si oppone alla maggioranza sunnita del mondo arabo che ne chiede le dimissioni.
Coalizioni e riconoscimenti a parte, in Siria si continua a morire. Dall’inizio del conflitto il numero cresce a dismisura: ad oggi, si contano quasi 40.000 vittime in quella fascia di terra che si affaccia sul Mediterraneo. In nome di interessi contrapposti, il regime di Assad continua a vivere, logorando sempre di più il popolo siriano.