A Doha per contrastare i cambiamenti climatici
Al summit si parla con preoccupazione al futuro del nostro pianeta: Stati Uniti sotto accusa
di Lorenzo Tagliaferri
Si è aperta il 26 novembre scorso la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici in Qatar a Doha e subito i toni si sono alzati tra la “visione occidentale” e i rappresentanti della società civile dei paesi in via di sviluppo. La manifestazione, che proseguirà fino a venerdì 7 dicembre, è l’ennesimo appello delle organizzazioni non governative a rispettare quanto stabilito in innumerevoli altre conferenze, da Kyoto a Durban.
Il fatto che la conferenza si volga in Qatar non è un caso. L’emirato della penisola arabica è infatti il paese con il più alto livello pro-capite di emissioni di anidrite carbonica ed il più grande consumatore di acqua a livello globale. L’emirato del Qatar possiede, inoltre, enormi giacimenti di gas che ne fanno uno dei più importanti esportatori a livello mondiale oltre, ovviamente, al profitto derivante dall’estrazione di petrolio, entrambi considerati come principali responsabili dell’insostenibile condizione ambientale.
La delicata situazione vede un confronto serrato tra i paesi più sviluppati, che (in parte) promuovono comportamenti utili alla riduzione delle immissioni di gas serra nell’atmosfera, e paesi in via di sviluppo che, attraverso il richiamo della società civile, chiedono un più responsabile utilizzo di fonti inquinanti senza, tuttavia, mortificare le agenzie dello sviluppo interno che concorrono alla crescita industriale ed economica delle nazioni in questione.
Confronto che subito si infiamma in conseguenza delle velenose parole del Capo dei negoziatori del Cop18 Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change), Jonathan Pershing che, in un incontro a porte chiuse con i rappresentanti delle Ong ha precisato che gli Stati Uniti sono “uno dei finanziatori che rendono possibile per voi essere al tavolo delle trattative. Spero che molti di voi che vengono ai meeting che facciamo, riconoscano che gli Stati Uniti combattono perché abbiate ogni possibilità di essere in questa stanza”.
La polemica nasce da una questione di numeri. Le organizzazioni non governative, e più in generale la società civile, sostengono che gli Stati Uniti stanno dicendo di tutto, e sostanzialmente, facendo nulla o poco più. I numeri, da Kyoto fino a Durban, parlano di un misero 5% di taglio delle emissioni inquinanti imposto agli Stati Uniti anche in condizione di mancata ratifica del protocollo di Kyoto. Paese a stelle e strisce che sembra non solo non riuscire a rispettare questa quota percentuale, ma sembra anche non voler presentare un qualche progetto concreto al fine di contribuire allo sforzo per la riduzione delle emissioni inquinanti.
Altra situazione è quella che riguarda l’Unione Europea, che si presenta alla conferenza di Doha forte del pieno rispetto di quelli che sono i parametri dell’ultima conferenza di Kyoto (riduzione del 20% delle emissioni inquinanti nell’atmosfera) e che è determinata a presentare un’ulteriore modifica al rialzo dei precedenti accordi – portare la riduzione delle emissioni al 30% entro il 2020 e stringere un accordo vincolante con i paesi in via di sviluppo, affinché si faccia più evidente il loro impegno per la sostenibilità. Paesi come Nuova Zelanda, i già citati Stati Uniti, la Russia, il Giappone ed il Canada, che hanno deciso di non ratificare gli accordi di Kyoto, sono avvisati, da oggi le responsabilità per un futuro migliore e meno inquinato per i nostri figli saranno più facilmente individuabili.
Per saperne di più: www.unfccc.int.
(fonte immagine: telegraph.co.uk)