Dieci “Navi”, per immergersi e sperimentare

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Profondi e synthetici versi accompagnano i battiti metallici dei santobarbaro 

di Valentina Palermi

fonte immagine: trovarobato.com

(fonte immagine: trovarobato.com)

In principio una formazione di stampo folk sperimentale, che ha dato vita nel 2008 a “mare morto, accolto dalla critica come uno dei migliori dischi (autoprodotti) dell’anno. A distanza di quattro anni, dal lembo di terra della provincia romagnola che si affaccia sul Mar Adriatico, lo scorso giovedì 29 novembre il duo forlivese dei santobarbaro ha fatto salpare le sue “Navi”.

Nel frattempo il fondatore Pieralberto Valli (voce e chitarra) ha deciso di affidarsi a Franco Francobeat Naddei (synth e manipolazione del suono), prima per la realizzazione di un secondo lavoro (“Lorna” – 2010), e adesso anche per la produzione del loro ultimo lavoro con Cosabeat Studio, progetto musicale che fa capo allo stesso Naddei.  “Negli ultimi due anni siamo saliti sul palco con la totale libertà espressiva, senza basi registrate e divertendoci nello smontare e rimontare la musica che avevamo costruito. All’inizio spaventa, ma alla luce di quella esperienza è nato “navi”. E non poteva che essere come è.”

Copyright: Silvia Camporesi. Fonte:santobarbaro.org

Copyright: Silvia Camporesi. Fonte:santobarbaro.org

Mi raccontano un album interpretato a livello visivo dalle illustrazioni di Toni Demuro, che sul loro universo “si è costruito liberamente il proprio immaginario e ha mantenuto intatto il proprio stile”, e con il contributo di Silvia Camporesi, “amica di lunga data, con la quale c’è ammirazione reciproca”, artista e fotografa di fama internazionale. “Poi l’ammirazione è diventata collaborazione”: cura il videoclip in stop-motion del brano newwaveterzo paesaggio“, “costruendosi la propria visione personale fino a darle una forma compiuta.

Troviamo lo strato più superficiale del valore dato alla volontà di sperimentare a livello espressivo, dove i santobarbaro puntano ad elevare il proprio linguaggio, osando e legando alla rete di suoni il ritmo del basso, delle lamiere e degli strumenti in titanio di Jessica Stenta, utilizzati anche nei live con la partecipazione di Davide Fabbri (synth) ed Enrico Mao Bocchini (batteria e, appunto, lamiere).

Si immergono in una dimensione plasmata su arrangiamenti sperimentali, elettronici, trip-hop, ed “echi” che ricordano i Depeche Mode: “atmosfere” liquide, a momenti ruvide, che sembrano di quando in quando riprodurre sonorità provenienti dagli abissi marini, dove nuotano i Massive Attack, sulle note di “Non sei tu”, o sfidare con il proprio volto, i pianoforti e gli archi, correnti gelide che tagliano la carne anestetizzata (“Prendi me”).

La sperimentazione ha a che fare con la curiosità di guardare fuori dal tuo giardino, che resta confine di un mondo autentico. Sono già state tracciate infinite possibilità artistiche e probabilmente le vie percorribili si sono esaurite, ma la sperimentazione è il senso stesso della musica e coincide con la ricerca di un confine personale.”

Il significato della ricerca formale di “un mezzo che appaia nuovo a chi lo ascolta” si con-fonde coi versi poetici di Pieralberto Valli: parole “leggere e libere da qualsiasi equivoco intellettualistico che si compiace nel non essere compreso”, sussurrate quasi come fossero un tutt’uno con i pensieri lasciati a metà che le hanno scaturite, che permettono a Valli di dialogare con sé stesso, per “dire alla sua immagine allo specchio ciò che pensa di lei, nonostante si agiti e corra, forse per paura di rimanere sola”. Brani al con-tempo asciutti e synthetici, il cui “volume” è definito dalla capacità di aggrapparsi al suono che le trasporta, di “agganciarsi come ancore agli eventi”.

Un “approdo che non esiste perché non esistono punti fermi“, ma che sancisce forse una tappa del percorso di sperimentazione dei santobarbaro, nascondendo un intimo desiderio di lasciarsi un po’ andare alla “deriva, il miraggio che tutti seguiamo, che ci fa avanzare come fosse un orizzonte”.

In questi giorni la rotta segnalata dalle carte ha visto il duo romagnolo presentare il proprio disco al Clandestino di Faenza lo scorso 1 dicembre, per poi farli riemergere a Prato il 20 febbraio al Capanno Black Out. Ma arriveranno anche Bologna, Milano e Roma: non ci resta che puntare lo sguardo verso il mare.

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