Il paese del sol calante
Perché non si può guardare al Giappone senza aver paura
di Andrea Ranelletti
“Una strada a senso unico”, “un accordo squilibrato”, “73mila posti di lavoro mandati in fumo”: l’accoglienza riservata all’avvio dei negoziati per i nuovi accordi di libero scambio tra UE e Giappone è tutt’altro che calda. In prima linea c’è l’Acea (Associazione dei Costruttori Europei) che attacca per voce del proprio Presidente Sergio Marchionne, il quale indica come l’accordo sarebbe deleterio per un mercato automobilistico in già precarie condizioni. “Vantaggi solo per Tokyo”, si dice.
E’ difficile dare torto a Marchionne. Eliminare ogni barriera all’importazione d’auto dal Giappone significa lasciare massima libertà di movimento a una nazione che ha tradizionalmente basato sull’export la propria ricchezza economica. Dietro quella che potrebbe apparire una mossa azzardata si cela però il desiderio di rilanciare la coordinazione tra un’Eurozona in difficoltà e uno Stato che da anni vede avvicinarsi il punto di non ritorno.
Il rallentamento dell’interscambio tra Giappone e area Euro non è solamente indice dell’indebolimento degli stati europei. L’economia giapponese soffre da molto tempo di problemi strutturali che ne minano la salute e il futuro. La produzione industriale nipponica ha subito un calo dell’8% rispetto a un anno fa, mentre il deficit della bilancia commerciale ha raggiunto quota 2.500 miliardi di yen (circa 23 miliardi di euro). Il peggior rapporto Deficit-Pil al mondo (calcolato al 230% entro fine anno) e un deficit statale pari al 10% sono tasselli di un agghiacciante mosaico: imprevedibile la portata delle possibili ripercussioni di un crack giapponese sull’economia mondiale.
Industrie giapponesi che hanno per anni trainato il settore delle esportazioni stanno segnando il passo. Il 2011 è stato l’anno di catastrofi naturali che ancora hanno gravi ripercussioni sulla nazione: non solo il terremoto e lo tsunami ma anche le alluvioni in Thailandia, stato dove è allocata gran parte della produzione di diverse aziende nipponiche, hanno messo in ginocchio nomi importanti. Giganti come Sharp, Sony e Panasonic stanno vivendo un momento difficilissimo. La crisi diplomatica con la Cina legata al possesso delle isole Senkaku/Diaoyu causato un forte boicottaggio da parte di Pechino dei beni prodotti da industrie giapponesi. Un duro colpo per l’export nipponico che proprio nella Cina aveva il primo cliente.
I problemi dell’economia giapponese sono molti e di difficile risolvibilità. La crisi energetica seguita alla scelta di disinvestire nel nucleare dopo Fukushima ha portato a un enorme aumento della spesa per importare petrolio e gas. I reattori nucleari consentivano un approvvigionamento energetico del 30%: ora si compensa importando da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Kuwait, Russia, Sudan, e Nigeria.
La curva demografica del Giappone è un altro grande fattore d’allarme. La popolazione sta invecchiando a ritmi rapidissimi: si calcola che in Giappone vi siano oltre 16 milioni di donne e 12 milioni sopra i 65 anni, mentre i bambini sotto i 5 anni sono solo 6 milioni. Solo un forte flusso d’immigrazione potrebbe compensare la richiesta di forza lavoro necessaria a mantenere l’attuale Pil. Il peso del sistema previdenziale è inoltre destinato a crescere progressivamente, pesando sempre più sulle già malandate casse dello Stato.
Un tracollo dell’economia nipponica è destinato a ripercuotersi con forza sull’economia europea. L’Italia ha un interscambio complessivo con il Giappone pari a 1.100 miliardi di yen ed è il terzo paese importatore dal Giappone all’interno dell’Unione Europea. Il volume delle esportazioni italiane in Giappone è invece piuttosto limitato. Un tracollo economico della nazione colpirebbe l’Italia soprattutto in maniera indiretta, per via dell’onda d’urto generata dal crack di uno dei più importanti attori economici internazionali. Impedire un simile scenario è d’importanza cruciale per un mantenimento degli equilibri attuali.
(fonte immagine: http://revenews.info/)