Il velo strappato
Le donne e la violenza. Quattro giornaliste si raccontano
Di Camilla Barni
“C’è una stretta connessione tra i problemi dell’informazione i problemi che portano alla violenza contro le donne in quanto donne”. Con questa dichiarazione da parte di Alberto Stampinato, direttore dell’Osservatore Ossigeno per l’Informazione, si apre la giornata in difesa delle donne, contro le violenza sulle donne. “Il velo squarciato” è il titolo che è stato dato al dibattito tenuto a Montecitorio il 27 novembre. Quattro giornaliste italiane che hanno subito violenza e minacce, intimidazioni e ingiustizie a causa del loro lavoro.
A raccontare storie emblematiche di violenza e minacce che nel corso del 2012 hanno colpito circa 300 giornaliste e giornalisti in Italia (di cui 16% donne), sono state Ester Castano, Marilù Mastrogiovanni, Luisa Betti e Marilena Natale. Da Milano con percosse e intimidazioni subite da un sindaco, fino alle minacce dei camorristi del clan dei Casalesi, passando per Roma, dove la giornalista del Manifesto è stata vittima di cyber stalking.
Ester Castano ha solo 22 anni e vive nell’Altomilanese, in una cittadina tranquilla, Sedriano, uno di quei tanti paesi in cui la cementificazione edilizia prede il posto dei prati. Alfredo Celeste il suo carnefice; sindaco arrestato il 10 ottobre per coinvolgimento con la ‘ndrangheta. “Un sindaco arrogante e un giunta comunale che pretende di veder finire il lavoro di una giornalista, di una cronista”. Così inizia il racconto di Ester.
“Mossa da una sorta di incoscienza giovanile, ho incominciato ad approfondire come l’amministrazione comunale svolgeva i lavori. Sin dal primo articolo dell’ottobre 2011 venni querelata per diffamazione. Un anno dopo il sindaco venne arrestato per corruzione. Due querele per diffamazione, denunce e richiami di allontanamento. Ma non solo, ho subito sulla mia pelle un atto volgare e senza motivo: un’assessore donna all’urbanistica mi ha aggredita fisicamente”.
Quando Marilù Mastrogiovanni prende la parola, la sala si gela. Marilù è una donna che ha deciso di rimanere nella sua terra, di combattere per la sua terra. Il tacco d’Italia, il suo giornale, pubblica inchieste che descrivono il difficile territorio. La provincia, molto spesso irrisa e scartata sulle grandi testate.
Sacra Corona Unita, smaltimento di rifiuti, speculazioni edilizie. Sono questi i temi che danno fastidio. “Io sono una giornalista di provincia. 13, 14 querele, anche dopo gli arresti. Questa è la realtà. Se ogni volta che esce un’inchiesta ti danneggiano la porta della redazione; se ogni volta che scriviamo sui rifiuti ci riversano montagne di rifiuti davanti alla porta della redazione, questo non è normale. Se in Italia 300 giornalisti sono stati minacciati perché stavano facendo il loro lavoro significa che in Italia è pericoloso fare il giornalista. Questo significa che c’è una democrazia compiuta a metà”.
In un susseguirsi di emozioni e brividi, la parola passa a Luisa Betti giornalista del Manifesto ed esperta di Diritti Umani e sulla violenza di Genere. Un racconto più leggero e disteso dal punto di vista emotivo, ma carico di denuncia che racconta una storia tragica di arroganza, dove l’obbiettivo è quello di tappare la bocca. Luisa per le sue campagne promosse sul blog Antiviolenza del Manifesto ha subito e sopportato numerosi attacchi, commenti violenti e denigratori, ingiurie e azioni di cyber stalking.
“Io mi occupo dei diritti della donne e di PAS – sindrome di alienazione parentale – e lavorando a rapporto con le associazioni che si occupano di violenza in questo ambito, ho controllato come questa sindrome era stata inserita in un disegno di legge. Si portava a norma di legge questa sindrome che veniva usata in maniera non riconosciuto, abusando di questa sindrome. Ho quindi iniziato a scrivere e descrivere quello che succedeva nei tribunali. Questo mi ha portato ad avere dei problemi d’immagine e di diffamazione nei confronti della mia persona. Minacce e accuse anche di morte, alle quali ho dovuto difendermi con degli esposti”.
In casa famiglie ci sono più di 40.000 bambini, molti dei quali per problemi di giudizio, in quanto il giudice non sa come muoversi davanti al ricorso della PAS. Solo dopo il centro sinistra ha cominciato a muoversi per questa legge che fa un business dell’affidamento. L’importanza della solidarietà nella storia di Luisa è stata la solidarietà da parte di avvocati, associazioni e gruppi d’appoggio. “La prima cosa è non stare zitti, divulgare tutto quello che succede e mai chiudersi dentro casa”.
La forte violenza psicologica e di condizionamento profondo si legge sul viso di Luisa, che passa la parola alla sua collega Marilena Natale. Marilena è una giornalista della Gazzetta di Caserta e la sua storia commuove profondamente la sala che si riempie delle sue parole. La sua voce è calda, sofferente, a tratti interrotta dall’emozione per la sua terra, per il suo lavoro e per la sua causa.
Per il giornale segue la cronaca nera e giudiziaria di un territorio così difficile e complesso come quello campano, nella città di Aversa, Casal di Principe, Casapesenna. Minacciata, intimidita e picchiata da uomini del clan dei casalesi. I suo articoli sono pungenti e hanno portato all’arresto di boss e alla confisca di diversi beni. L’emozione quando parla è tanta, è forte, si respira nell’aria il coraggio di questa donna che per tutto il tempo ripete “io non ho paura”.
“Alla mattina quando esco di casa ho meno paura, oggi. Io sono una cronista e nella mia terra per trent’anni abbiamo assistito al suicidio dello Stato. La Camorra prolifera dove lo Stato manca, e da noi lo Stato è mancato. Io sono una mamma e non ho nessuna intenzione di lasciare la mia terra. Mi pongo come tramite per tutte quelle persone che hanno paura. Mi sono messa a disposizione dei miei conterranei per dare loro la voce, perché vivere a Casal di Principe è difficile”.
Queste donne hanno avuto il coraggio di parlare, di difendere la giustizia e le sane idee, di portare alla luce il marcio che il nostro Paese conserva e alimenta giorno dopo giorno. Ci siamo accorti che non esiste il nord e il sud, che l’Italia è dominata da poteri forti e prepotenti che tentato di fasciare la bocca e di chiudere gli occhi ai cittadini. Sindaci lombardi e casalesi, parlamentari e membri della Sacra Corona Unita lavorano nello stesso modo, con le stesse modalità, con la medesima violenza.
E come diceva Borsellino: “Possono uccidere me, ma non le mie idee”.