Un anno di promesse incompiute
Mariano Rajoy, dopo un anno di governo, non mantiene un’altra delle sue promesse: la rivalutazione delle pensioni non si farà
di Maria Bonillo Vidal
Non sempre si festeggia durante gli anniversari. Infatti, ha poco da celebrare il presidente del Governo spagnolo, Mariano Rajoy, a distanza di un anno dal suo insediamento alla Moncloa. Piú di 365 giorni, passati a lottare contro il sempre presente e minaccioso spread, contro la disoccupazione crescente, che colpisce quasi 6 milioni di spagnoli, ma anche a controllare costantemente l’enorme debito pubblico. È riuscito a non chiedere ancora il salvataggio per la Spagna ma i punti neri di questo primo anno di lesgislatura, senza dubbio, si trovano tutti sul piano sociale. A questo riguardo, il presidente Rajoy non ha compiuto nessuna delle promesse elettorali.
“Se c’è qualcosa che non toccherò saranno le pensioni, perche sono i pensionati i piú indifesi e non hanno una seconda opportunità”, diceva Rajoy nei suoi comizi. Lo scorso venerdí, questa è diventata un’altra delle promesse incompiute del presidente del consiglio spagnolo, visto che non adeguerà i trattamenti previdenziali al livello di inflazione presente nel Paese. La regolazione dei pagamenti, infatti, si attua tra novembre e dicembre guardando sempre l’IPC, cioè l’indicatore dei prezzi del consumo. Quest’anno, contraddicendosi, il governo lascerà i pensionati piú poveri.
Ma non è solo questa, l’unica misura che smentisce il programma elettorale con il quale il Partito Popolare ha vinto le scorse elezioni. Il suo cavallo di battaglia di fronte a un possibile governo socialista è stato fermare la distruzione dei posti di lavoro, ma il cavallo sembra morto. Il tasso di disoccupazione è arrivato al 25 %, con un milione in più di persone senza lavoro in un anno, e le previsioni dell’OCSE indicano che l’anno prossimo salirà al 26 %.
Il contesto sociale spagnolo è completamente degradato. La riforma della legge riguardante il mercato del lavoro ha rotto tutti i rapporti tra gli agenti sociali, facendo scattare la mobilitazione dei sindacati. Sono state le organizzazioni dei lavoratori ad indire due scioperi generali in un anno, un record per un presidente e un governo: significa che c’è qualcosa che non va nel Paese. Rajoy aveva promesso una riforma per creare posti di lavoro e invece se ne distruggono centinaia al giorno, grazie ai licenziamenti piú economici a beneficio degli imprenditori.
Il “ticket” a carico dei cittadini per un servizio fondamentale come quello della giustizia, i tagli alla sanità e all’istruzione e la crescita smisurata delle imposte sono altre delle politiche che stanno facendo soffrire gli spagnoli. Il team formato da attuali ministri e da altri “pesi massimi” del Partito Popolare era stato protagonista l’anno scorso di una dura campagna per dire “no” all’aumento dell’IVA e dell’IRPEF.
Un’altra promessa non compiuta: i prezzi di quasi tutti i prodotti salgono, cosí come le bollette dell’acqua, della luce e del gas, mentre gli stipendi continuano ad essere i piú bassi dell’Unione Europea, pur essendo la quarta potenza economica della zona Euro.
Nella lista di “cose non fatte” si trova anche il controllo del deficit pubblico. Quello che ha fatto Rajoy è stato stringere di piú la corda sul collo delle comunità autonome, ha tagliato i fondi a disposizione di tutti i ministeri, ma il debito pubblico non è calato. Tra le “cose fatte”, invece, si trova il salvataggio per Bankia, ma non per i cittadini dalle banche: sono già tre i suicidi in un mese dovuti agli sfratti, voluti dagli istituti di credito per rientrare dalla morosità dei proprietari delle case, che non potevano più pagare il proprio mutuo.
Cosí il partito al governo ha perso 8-9 punti di consensi, secondo alcuni sondaggi, rispetto all’anno precedente e Rajoy ha ottenuto una valutazione di 2,78 su 10. Sembra che gli spagnoli non lo vogliano più, ma nelle ultime elezioni regionali i risultati sono diversi: maggioranza in Galizia, e in crescita nei Paesi Baschi e in Catalogna.
Tuttavia, resta lontano quel 20 di novembre di 2011: un anno dopo il Paese è piú indebitato, convulso, deluso e confuso.