Catalunya, voglia di indipendenza
Al termine delle elezioni per il nuovo Parlamento Autonomo Regionale, si arresta la ribalta della secessione
di Martina Martelloni
Tre secoli di storia scalfita da un costante ed inarrestabile desiderio di indipendenza, la Catalogna, o Catalunya in lingua madre, conosce bene il significato di lotta per il riconoscimento di quella che l’originario popolo “aranese” considera orgogliosamente Nazione Catalana.
Ci si è messa la crisi economica mondiale, la recessione spagnola, il burrascoso rapporto con i vertici decisionali dell’Unione Europea, il governo in carica del PP nelle mani di Rajoy; la somma di questi elementi ha prodotto come risultato un rinvigorire della “questione catalana”.
A testimonianza del risentimento verso la monarchica Madrid, lo scorso 25 novembre si sono svolte le elezioni per il rinnovamento della Generalitat, istituzione di massima rappresentanza della comunità autonoma catalana. Il clima politico tagliente in materia di indipendenza ha visto schierati il partito di Centro-destra Convergència y Union ed il suo (quasi) avversario partito della sinistra indipendentista la Esquerra Republicana de Catalunya. Un “quasi” che sta a tradursi nel comune intento di liberazione tout court dallo Stato spagnolo.
Entrambe le posizioni infatti hanno per lungo tempo inneggiato all’indire un referendum sull’indipendenza della Regione. Forze meno influenti in Catalunya, ma comunque concorrenti alle elezioni del potere politico, sono il Partito Socialista di Catalunya ed il Partito del Popolo, con netta opposizione alla causa secessionista e con gli occhi rivolti a Madrid.
Chiusi i seggi, scrutinatori al lavoro. Medaglia d’oro al centro destra capitanato da Artur Màs Gavarro, presidente dell’esecutivo catalano. Un oro questo con pochi carati considerato il calo di preferenze, un 30,7% che consegna 50 seggi su 135. In totale Màs ha perso 12 seggi e non ha ottenuto quella maggioranza assoluta che tanto urlava ai venti iberici per dare il via al processo indipendentista iniziando proprio dal referendum popolare.
Non vincitori ma vinti, gli indipendentisti della ERC, la sinistra catalana, sorridono beffardamente per quel 13 % di voti e 21 deputati nelle poltrone del Parlamento. Numero esiguo ma che fa da sgambetto alla destra di Màs. Con queste nuove reclute, ora il Parlamento della Generalitat si compone di 87 deputati vogliosi di indipendenza contro 48 spagnoleggianti con il cuore a Madrid.
Bando alle votazioni ed ai risultati squilibranti, il popolo catalano resta ancorato alle proprie origini e rivendicazioni pur non vedendo ancora neppure all’orizzonte, lo spiraglio della piena autonomia da Rajoy. Da parte del governo centrale, molte sono state le dispute in ambito della divisione dei poteri tra Stato e Comunità autonome. Difensore dell’unità territoriale spagnola, il presidente Mariano Rajoy ha più volte ribadito l’esigenza di compattezza politica e soprattutto economica.
Eppure, c’è chi, come il capo dell’esecutivo Màs, sostiene che la Catalunya dia fin troppe risorse al governo centrale ricevendo in cambio molto meno. “L’economia catalana è la più produttiva di tutta Europa, eppure è quella che ha meno infrastrutture pubbliche”, e poi ci sono i capi saldi culturali, quelle corazze intangibili che si chiamano Lingua e Storia. Diverse entrambe con fierezza da quelle spagnole.
Madrid, dal canto suo, non sempre rispetta il sentimento di unicità che appartiene al popolo della Catalunya. Di tre mesi fa è stata la presentazione del progetto di legge sull’educazione in Spagna.
Il Ministro Wert ha teso le fila del centralismo anche e soprattutto nelle scuole attraverso una riforma dell’educazione che dia pari ed uguale insegnamento in tutte le regioni e comunità autonome. Lingua spagnola in primis, che silenziosamente dovrebbe restringere il campo delle lingue locali presenti nelle diverse comunità.
Politica linguistica, fiscale e sanitaria promosse dal governo centrale scuotono gli aculei dei rappresentanti in seno alla Generalitat de Catalunya, ora più che mai intenti ad unirsi per contrastare, di fronte al Tribunale Costituzionale, una legge da loro definita come attentato ad un modello di Paese.
Voglia di indipendenza persevera e persiste, ma l’attesa potrebbe dimostrarsi molto lunga, per di più finche non si riesca realmente a costruire una maggioranza assoluta assennatamente convinta di una liberazione da Madrid, ed una totale consegna dei poteri a Barcellona.