Non solo fiscal cliff
Dopo quella del 2011, una nuova crisi del debt ceiling incombe sull’economia americana. Come andrà stavolta?
di Andrea Ranelletti
Mentre l’attenzione dei media internazionali si concentra sulle frenetiche trattative in corso per evitare che l’economia americana sprofondi nell’ormai famigerato fiscal cliff, un’altra nube si addensa cupa e minacciosa sopra la “terra dei liberi e casa dei coraggiosi”. La possibile recessione causata dai tagli alla spesa pubblica e dall’aumento delle tasse non è affatto l’unica minaccia per le finanze della prima potenza economica del mondo: forte preoccupazioni sono destate dalle discussioni attorno alla crisi del debt ceiling, il tetto del debito nazionale.
La legge federale prevede l’esistenza di un limite al debito che il governo può accumulare per assolvere alle spese della nazione. Per superare questo limite è necessario il voto favorevole del Congresso, che alza l’asticella e consente alle casse dello stato di prendere altro denaro in prestito. Come testimonia la pagina web usdebtclock.org, il debito pubblico statunitense sta nuovamente sbattendo contro il tetto, rendendosi quindi potente arma negoziale per l’opposizione repubblicana. La presenza di una frattura interna al Congresso, con il Partito democratico in maggioranza al Senato e quello repubblicano più forte alla Camera, limita i movimenti del Presidente Obama e del proprio staff per effettuare le manovre necessarie a un innalzamento della soglia.
La storia americana rivela una lunga serie di innalzamenti del debt ceiling: il voto per l’ampliamento della soglia raggiungibile è effettivamente stato considerato per molto tempo una mera formalità, cui si assolveva senza dar alla questione particolare risonanza. L’arrivo di Obama alla Casa Bianca, i suoi propositi di ampliamento delle spese previdenziali a carico dello Stato, la crescita senza precedenti del debito pubblico nazionale che oggi ha raggiunto quota 16mila miliardi di dollari: questi i fattori che hanno spostato il dibattito politico sul piano dei conti statali. Alzare il tetto del debito è diventato una dura battaglia senza esclusione di colpi, in cui due visioni contrapposte del ruolo dello stato si scontrano frontalmente.
La precedente crisi del debt ceiling risale all’anno scorso. Conquistata la Camera nelle mid-term elections del 2010, i repubblicani decisero di battersi per far valere il proprio approccio economico, esigendo un drastico taglio delle spese statali e ostacolando l’approvazione al Congresso dell’innalzamento. L’accordo fu raggiunto a fine luglio, dopo il concreto rischio di un default del governo federale. Si decise di alzare la soglia di 2.400 miliardi di dollari, a patto però di effettuare tagli al deficit per un importo simile nel giro di 10 anni.
Sotto le elezioni presidenziali il tema debt ceiling è tornato a farsi scottante. Lo speaker repubblicano alla Camera John Boehner ha più volte affermato di non voler permettere ai democratici di temporeggiare con una nuova serie di decisioni a breve termine. I democratici hanno accusato i repubblicani di “tenere ostaggio della propria politica conservatrice la fiducia e il credito dell’intera nazione”.
Secondo il giornalista di “Slate” Matthew Yglesias, sarà necessario che “Obama renda nuovamente routine l’operazione di innalzamento del debt ceiling, rifiuti compromessi simili a quelli del 2011 e metta a segno una vittoria decisiva”. Medicare e Medicaid, le reti di sicurezza sociale, i pagamenti degli interessi sui titoli emessi dallo Stato, i sussidi alla disoccupazione e via dicendo: è ampia la posta in palio. Un mancato accordo su un innalzamento del limite può rimettere in discussione le politiche del presidente neo-eletto e ledere duramente la sua immagine.
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