Amianto in provincia di Roma, un allarme mai cessato
Le istituzioni si muovono (ma non troppo) per accelerare i processi di smaltimento
di Lorenzo Tagliaferri
La legge 257 del 1992, seguita da una Circolare del 1993 nella quale si faceva riferimento ad un censimento delle imprese che utilizzavano amianto o che svolgevano attività di smaltimento e bonifica dello stesso, chiariva senza ombra di dubbio le direttive principali da seguire riguardo l’utilizzo di materiali in amianto. Divieto di estrazione e produzione di materiali contenenti amianto; divieto di commercializzazione di tutti i prodotti contenenti amianto; piani per la progressiva fuoriuscita dal problema amianto.
I primi due punti della legge in questione, il divieto di estrazione, produzione e commercializzazione, sono l’aspetto (o se vogliamo, il limite) più importante della vicenda riguardante la salute di centinaia di migliaia di cittadini.
Se le cifre divulgate riguardo la situazione amianto nella regione Lazio sono attinenti alla realtà c’è sicuramente di che preoccuparsi. E ancora più preoccupante risulta essere il quadro della situazione dato che tali cifre si riferiscono solo a poco meno del 5% del territorio regionale.
Considerando la provincia di Roma e gli effetti sulla salute dei cittadini che vivono a stretto contatto con la presenza di amianto, le cifre più preoccupanti arrivano dalla zona di Colleferro, dove il tasso di incidenza per numero di abitanti riguardante i casi di mesotelioma corrisponde al 4,1% e risulta essere il più elevato della provincia con al seguito il 3,5% di Civitavecchia, il 2,9% di Ardea ed il 2,7% di Pomezia. Nella capitale si calcola un tasso di incidenza vicino al 1,2% ogni 100.000 abitanti con punte percentuali nei comuni II (1,5%), VII (1,7%) e XII (1,5%).
Rifacendoci alle parole del ministro della Salute, Renato Balduzzi, durante la seconda conferenza nazionale sull’amianto tenutasi a novembre a Venezia, secondo cui è fuori discussione il fatto che “come per tutti gli agenti cancerogeni, non esiste una soglia di sicurezza al di sotto della quale il rischio sia nullo”, deve far ancor più riflettere la lentezza con la quale le istituzioni stanno provvedendo alla rimozione da tutti i siti nei quali è stata rinvenuta presenza di amianto.
La questione dunque non è solo un’emergenza immediata ed attuale per la salute del cittadino, ma è anche forte stimolo per la preoccupazione per le future generazioni. Secondo l’ANMIL (Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro), il picco di tutte le malattie (professionali e non) legate alla presenza di amianto arriverà nel 2025, anno in cui i casi varcheranno la soglia dei 3.500 e che tale cifra rappresenterà un aumento in percentuale dell’85% rispetto all’anno base 2006 ed oltre il 50% rispetto ad oggi. Numeri che “inchiodano” le associazioni e che impongono il salto di qualità in una nazione che ancora consta di ben 75.000 ettari di territorio contaminato da amianto e derivati dell’amianto.