Sanità Lazio, tra manifestazioni e rassicurazioni

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Si è conclusa un’altra settimana di passione per gli ospedali della Regione, ma qualche spiraglio sembra essersi aperto

di Chiara Puglisi

(fonte immagine: sossanitaalessandria.wordpress.com)

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L’avevano annunciato e così è stato. Le oltre 42 associazioni di categoria che rappresentano i lavoratori della sanità si sono ritrovati ad inizio settimana sotto la sede romana della Regione Lazio per protestare contro la politica dei tagli decisa dal commissario straordinario per la sanità Enrico Bondi.

Oltre 10.000 camici bianchi, secondo gli organizzatori, hanno sfilato bloccando per ore la via Cristoforo Colombo, una delle arterie principali della Capitale e al suono di fischietti hanno esposto gli striscioni più svariati, dal “Bondi a casa” a “La salute non si tocca” e “La sanità pubblica si difende, non si vende”.

Al grido di “vergogna, vergogna” in migliaia tra medici, infermieri e operatori sanitari hanno difeso il proprio posto di lavoro, in alcuni casi, e, in generale, la possibilità di offrire al cittadino la sanità di eccellenza cui il nostro Paese è abituato.

Ma la settimana è stata particolarmente difficile per i presidi ospedalieri che ancora aspettano di capire quali saranno le misure effettivamente attuate dal super commissario.

L’annuncio della chiusura delle 13 strutture del Gruppo San Raffaele SpA nel Lazio appartenenti alla famiglia Angelucci, si tradurrà, dal 30 dicembre, in oltre 200 pazienti da ricollocare e 2.074 dipendenti più l’indotto senza il posto di lavoro.

Il commissario Bondi,  il prefetto Pecoraro e i vertici del Gruppo si sono riuniti in prefettura per cercare soluzioni adeguate ma sono stati interrotti dalla protesta dei lavoratori che hanno cercato di forzare il portone della prefettura per urlare le proprie ragioni a chi decide per loro conto. Si sono vissuti attimi di panico e uno di lavoratori è stato soccorso dal 118 per un malore.

Due round in cui i vertici del Gruppo San Raffaele hanno chiesto di sbloccare 260 milioni di euro di arretrati. Tra oggi e domani, infatti, potrebbero essere sbloccati i fondi per il pagamento degli stipendi ai dipendenti.

L’attenzione dei responsabili sindacali del Gruppo San Raffaele resta comunque alta in attesa che dalle parole si passi ai fatti.

Questa momentaneamente la soluzione per il gruppo facente capo alla famiglia Angelucci.

Nella stessa giornata anche la direzione generale del San Filippo Neri viene occupata in segno di protesta contro il taglio di 117 posti letto e la chiusura di sei reparti. I lavoratori del presidio ospedaliero promettono turni 24 ore su 24 pur di salvare il loro ospedale.

Altra zona della città, altri ospedali, uguali proteste.

San Giovanni Calibita Fatebenefratelli sull’Isola Tiberina: prima tutti riuniti in assemblea poi medici, infermieri e tecnici si muovono alla volta del ministero della Salute, bloccando il lungotevere Ripa.

Gli striscioni recitano se non le stesse frasi, sicuramente gli stessi concetti: restituire la sanità ai cittadini e contrastare il precariato voluto anche dal piano Bondi, oltre che dai buchi di bilancio lasciati dalle passate amministrazioni regionali.

In tarda mattinata di venerdì una delegazione di sindacalisti del presidio ospedaliero è stata ricevuta dal capo di gabinetto del ministro Balduzzi, il direttore generale del dipartimento delle professioni sanitarie del ministero Giovanni Leonardi.

“Il capo del gabinetto ci ha assicurato che non c’è un progetto di chiusura o di taglio del personale per gli ospedali classificati”, racconta all’Ansa Salvatore De Santis dell’Ugl.

Dopo queste rassicurazioni i mille dipendenti che hanno partecipato alla protesta vanno via più sollevati anche se hanno ben chiaro che i tagli ci saranno come per tutti.

Il grande problema, che poi rappresenta il grande divario tra gli ospedali classificati e quelli pubblici, è che i dipendenti dell’ospedalità classificata sono equiparati a quelli pubblici per i doveri ma non per i diritti.

Se un ospedale religioso chiude i lavoratori non possono essere ricollocati in strutture pubbliche: questo atto creerebbe una situazione sociale e occupazionale drammatica.

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