Le voci dei veterani
Negli Stati Uniti, l’arte diventa il veicolo per il reintegro sociale dei veterani di guerra
di Alessia Signorelli
Nel Paese delle grandi lotte sociali e civili, nel Paese che, nell’immaginario collettivo è il Paese della libertà, delle opportunità, del “sogno”, esistono zone d’ombra tanto oscure e profonde quanto più è forte il senso di giustizia, la sete di equità ed uguaglianza. Gli Stati Uniti d’America sono sempre di più il terreno delle contraddizioni, delle idiosincrasie, come anche i recenti fatti di cronaca (nera, nerissima) hanno dimostrato.
E’ un Paese che ha sempre cercato di “reinventare” l’utilizzo della forza militare nei conflitti sparsi per le zone più tribolate del mondo, dove il ruolo del militare, del soldato, quando in azione e nel momento del sacrificio massimo della vita, viene esaltato, santificato, portato ad esempio supremo.
Ma quando, o perché un conflitto finisce o perché rimangono vittime di attentati che li lasciano mutilati dentro e fuori, questi soldati tornano in patria e diventano “veterani”, ecco che, questo stesso Paese, si ritrova in una posizione imbarazzante: da potenziali eroi, ad emarginati, spesso costretti a rimodularsi su una “normalità” oramai perduta per sempre, in una Nazione che non sa più come relazionarsi con loro e che, quindi, preferisce essere sfuggente, scegliendo il non-dialogo, ma passando via veloce, ad occhi bassi, fingendo che il problema, una volta messo sotto al tappeto, si risolva da sé.
E qui, in questo vuoto, l’arte diventa un ponte ideale. Il 9 dicembre scorso è calato il sipario sull’ iniziativa socio-artistica di Krzystof Wodiczko, artista di origine polacca e professore di Arte, Design e Public Domain presso l’università di Harvard, in associazione con l’organizzazione no-profit More Art: “Abraham Lincoln: War Veteran Projection”, che ha visto la statua del “padre della patria”, in Union Square, diventare la tela ideale sulla quale sono stati proiettati i volti dei veterani che hanno accettato di “sottoporsi” al progetto di Wodiczko, il quale ha anche registrato (e poi mandato, insieme alle proiezioni) le risposte degli stessi alle domande da lui poste relativamente ai sentimenti che hanno a che fare con una profonda umanità, quali a paura, il senso di perdita, di abbandono, il sentimento di “non-appartenenza”, i pensieri suicidi, la solitudine, e che tutti loro hanno provato sulla loro pelle.
Wodiczko, attraverso rapporti di solidarietà con una trentina di associazioni che si occupano dei veterinari e del loro reintegro, è riuscito a costruire qualcosa che va ben oltre l’arte ed il semplice commento sociale. Ha dato voce, ha reso protagonisti coloro i quali, in virtù di uno scherzo perverso, rimanendo vivi, vengono praticamente dimenticati dalla Nazione che hanno servito. Non si tratta di posizioni militariste né tantomeno ultra-nazionaliste; semplicemente, si guarda sotto la divisa, quello che resta.
L’ “awareness” che sta sorgendo sempre di più negli Stati Uniti, si è andata a riflettere anche attraverso altre iniziative, come quella portata avanti il mese scorso, a Times Square, dove, una società di architetti (la Matter Practice) in collaborazione con la Times Square Arts, ha costruito un prefabbricato dove fosse possibile per la “gente comune”, entrare e porre domande ai veterani al suo interno, in quello che è stato battezzato come “The Peace and Quiet Station”.
Il recupero psico-sociale dei veterani, dunque, passa attraverso l’arte, attraverso i suoi simbolismi e attraverso iniziative di carattere più “spicciolo”, quali quelle volte a favorire la fruizione museale dai parte dei veterani, spesso incapaci di arrivare a fine mese, come si suol dire, attraverso la progettazione di percorsi specifici e dedicati.
Certamente, tributare onore ai propri caduti è sicuramente più “semplice” che dialogare con chi è tornato indietro ed affrontare la messa in discussione dei propri principi e delle proprie convinzioni proprio da parte di coloro che, per primi, hanno messo a disposizione le proprie vite per un “ideale”, o meglio, un’idea di pace e giustizia discutibile nella sua spiccata tendenza interventista.
Ma, se gli Stati Uniti vogliono davvero marcare una differenza, dovranno affrontare e recuperare i propri veterani, ed accettare che questo percorso inizi proprio dall’arte.