L’anno dello spread
Si è concluso il difficilissimo 2012: sarà un nuovo inizio per l’economia italiana?
di Samuele Sassu
Si è appena concluso l’anno del governo tecnico, dello spread impazzito e della tanto temuta Imu. Il 2012 rimarrà nella memoria degli italiani per la crisi e le sue implicazioni su questi tre elementi in particolare. Intorno a loro, una galassia di altre fattori tra cui spiccano inflazione, debito pubblico e salute dei conti.
Come etichettare l’anno passato? In primis, lo si può ritenere come “anno dello spread”. Il termine tecnico che indica il differenziale tra i nostri Btp e i Bund tedeschi, praticamente sconosciuto fino a pochissimo tempo fa, ora entrato a far parte del vocabolario di ogni italiano: dal grande manager, passando per la casta politica, fino ad arrivare a casalinghe, pensionati e venditori ambulanti.
Sebbene la grande paura si sia registrata a partire dal novembre 2011, con rendimenti oltre il 7% e i 500 punti base, sono stai i 13 mesi successivi a sottoporre l’intero Paese a un complicatissimo esame ora forse superato. All’apertura dei mercati nel nuovo anno, infatti, lo spread Btp-Bund è sceso fino a quota 275 e con un rendimento al 4,22%, ai livelli di agosto 2011. Bisogna tornare fino al 2010, invece, per quanto riguarda i Btp a 2 anni, all’1,65 per cento, e quelli a 5 anni, il cui rendimento ha chiuso al 3%.
Complice l’accordo al Congresso statunitense per evitare il “Fiscal Cliff”, il baratro fiscale tanto temuto oltreoceano poiché portatore di grave recessione, le Borse europee hanno registrato un inizio 2013 generalmente positivo. Inoltre, sembra essersi consolidata l’idea secondo cui l’euro non finirà. Gli investitori possono tornare a guardare con fiducia nel Vecchio Continente e lo spread fa meno paura.
Da questa situazione potrebbe trarre giovamento il nostro debito pubblico. Certo, differenziali in discesa senza una politica economica orientata alla crescita hanno effetti piuttosto limitati sul debito, soprattutto se si considera che costituirà il 128% del Pil nel 2013. Tuttavia, sembra esserci un discreto ottimismo. Nonostante siano stati superati i 2 mila miliardi di euro e circolino 1.680 miliardi di nostri titoli, il parere degli esperti riempie di fiducia l’Italia. Si dicono certi che i nostri Bond verranno collocati sul mercato. Ad oggi, il debito costa ai cittadini ben 75 miliardi di euro annui a titolo di interessi.
Riguardo alla salute dei conti si registra un aspetto molto positivo: secondo i dati diffusi dal Ministero dell’Economia, il Fabbisogno al 31 dicembre 2012 è sceso dai 63 miliardi dell’anno precedente ai 48,5. A incidere su tale dato è certamente l’andamento più favorevole degli incassi fiscali. Piuttosto intuibile, considerando tutti gli aumenti registrati nell’ultimo anno.
A incutere più timore rispetto a spread e debito pubblico, è invece la questione dell’Imu. A dicembre, infatti, milioni di italiani hanno dovuto versare all’erario l’ultima rata dell’imposta sulla casa. Voluta dal governo Monti per rimettere in sesto le casse dello Stato e, soprattutto, quelle delle amministrazioni locali, ha portato a compimento la propria missione: gettito raddoppiato rispetto all’Ici abolita da Berlusconi, anche a causa della possibilità per i Comuni di stabilire le aliquote.
Il risultato è stato eclatante: dai 19 miliardi inizialmente previsti, si è passati ai quasi 24 di saldo reale. Per avere un’idea ancora più chiara, si pensi che l’ultima Ici si era attestata sui 9 miliardi.
Gli effetti sono stati avvertiti soprattutto da quelle categorie con i redditi più bassi perché, mentre prima i trasferimenti verso i Comuni provenivano in gran parte dalle imposte principali come Irpef e Iva, ed erano quindi spalmate in modo proporzionale ai redditi e ai consumi, l’Imu non fa differenza tra ricchi e poveri ma ha come parametro principale la rendita catastale. Quest’ultima, è noto a tutti, non è certo un esempio di equità nel sistema fiscale italiano.
Forse un obiettivo del prossimo governo, qualunque esso sarà, potrebbe essere non abrogare l’Imu (con buona pace del populismo disperato berlusconiano), ma renderla un po’ meno staccata dalla realtà, tornando a un’impostazione più legata a redditi e consumi. Possedere un immobile, del resto, non deve essere vissuto come una colpa.
Brutte notizie arrivano da un’altra spina nel fianco di tutti gli italiani: l’inflazione. Secondo le stime preliminari diffuse dall’Istat, a dicembre il tasso di crescita dei prodotti ad alta frequenza di acquisto, come cibo e carburanti, è passato dal 3,5% del 2011 al 4,3% del 2012. È il valore medio più alto dal 2008. Quello dei salari, al contrario, resta fermo al palo da troppo tempo.
(fonte immagine: http://econpolgiur.wordpress.com )