Basket NBA: le due facce della Mela
A New York cresce la rivalità fra i Knicks ed i nuovi Nets di Brooklyn
di Stefano Brienza
Nulla, nello sport, è comparabile ad un derby. È una questione sociologica. Le rivalità meramente sportive, quelle nate dopo un -40, una rissa o un gol in fuorigioco al novantatreesimo, nascono da sentimenti razionali: tu hai fatto un danno a me, ed ora io ti faccio la guerra. Da lontano, però, e senza esagerare.
I duelli extracittadini, invece, nascono da una voglia di primeggiare primordiale: il dominio del territorio, l’esclusione del vicino, l’affermazione della propria discendenza. E così come le paure irrazionali sono le più forti ed incontrollabili dalla psiche, anche l’”odio” sportivo verso una squadra che – in realtà – non ha fatto nulla di particolare per farsi odiare viene naturalmente moltiplicato.
In una megalopoli multiculturale, ma soprattutto enorme, come New York, la questione può assumere dimensioni ciclopiche. Soprattutto quando le contendenti sono sponsorizzate da Spike Lee e Jay-Z. I media hanno sempre mantenuto alta la tensione fin dall’annuncio dello spostamento di franchigia dalle paludi del New Jersey a Brooklyn, e le prime due sfide-derby nel nuovo Barclays Center non hanno deluso: un overtime vinto dai Nets ed una vittoria dei Knicks con 45 di Anthony e tripla decisiva del grande ex Kidd.
Lo stesso ‘Melo‘ dopo la vittoria rilasciò dichiarazioni che fecero senz’altro leccare i baffi al grande capo Stern (al quale non dispiacerebbe per nulla vedere il primo titolo a New York della sua gestione prima di lasciare nel 2014): “Siamo nella stessa division, ci vediamo quattro volte all’anno. È una rivalità, c’è poco da fare. Quando veniamo qua è una battaglia, quando verranno loro sarà lo stesso”. Poi ha mantenuto le promesse, nel dominio bluarancio del 19 dicembre contro dei bianconeri allo sbando. Ora l’inerzia è cambiata.
I Knicks, ancora secondi alle spalle di Miami, hanno appena vissuto la peggior settimana della stagione con tre sconfitte dopo il ritorno di Stoudemire e si sono fatti raggiungere dal folto gruppone che si giocherà la griglia dei playoff della Eastern Conference. Indiana, la stessa Brooklyn, Atlanta, Chicago, Milwaukee e Boston sono tutte racchiuse in tre partite, con Phila staccata ad inseguire.
Potrebbe fare la differenza qualche scambio, che potrebbe coinvolgere per esempio Pau Gasol, Gay o Cousins (ormai terminata l’epoca di Sacramento, la cui franchigia sarà trasferita a Seattle per riformare i Sonics, ma ancora manca l’ufficialità). Un altro nome caldo è quello di Bargnani, ormai scaricato da Toronto e ancora fuori per infortunio. Non si capisce bene chi lo vorrebbe, ma si è parlato anche della stessa New York.
Infatti l’inserimento di Stoudemire nell’alchimia tattica è un enigma per Woodson, ma pure l’eventuale scelta di scambiarlo, visto il contratto molto pesante che si porta dietro. Sarà questo il punto cruciale della gestione di New York, così come il destino dei Nets passa sicuramente dall’allenatore che, una volta scelto, accetterà la squadra.
Con Carlesimo (coach ad interim dopo l’allontanamento di Johnson) a briglie sciolte, Deron Williams e compagni sono 8-1, 6-0 nel 2013. Segno che lo spogliatoio non era a posto, e che da quel roster si può tirar fuori qualcosa di buono. Intanto, il record è già stato aggiustato a 22-15, a sole due lunghezze dal 24-13 dei cugini – stanotte hanno vinto entrambe – e ad una settimana dal quarto confronto diretto stagionale.
Le ambizioni sono le stesse: il titolo il più presto possibile. Il progetto dei Knicks sembra ben avviato ma mostra limiti difficilmente colmabili, anche se una finale di Conference sembra possibile già quest’anno. Quello dei Nets è appena partito, con i soldi del miliardario Prokhorov e ancora nessun manico affidabile, ma ricco di pazienza e potenzialità. La rivalità, ora, ha solo bisogno di una serie playoff per infiammarsi.