La corsa alle poltrone e i suoi modi di dire

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Pressione fiscale, lotta all’evasione, legalità, questione morale e mercato del lavoro sono queste  le questioni principali sulle quali  verterà lo scontro tra i leader dei partiti, piccoli e grandi che siano, allo scopo di assicurarsi più poltrone possibili in Parlamento

di Alessia Ricci

Ogni campagna elettorale si contraddistingue per le proprie storie, per le proprie sfide personali, le proprie leggende metropolitane. E ogni campagna elettorale ha i propri tormentoni e parole chiave a cui nessuno può sottrarsi.

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Nel 1994, si parlava di “discesa in campo” e balzò fuori il “kit” del bravo parlamentare, erano gli anni di Tangentopoli  e l’espressione “avviso di garanzia” ancora terrorizzava la politica. Nel 2001, invece, si passò al “contratto con gli “italiani” e nel 2006, ad esempio emerse il tema dell’ “Ici”.

Così, oggi, tra i termini più in voga troviamo quello di “CASTA”. In campagna elettorale tutti i leader sembrano provenire da un altro pianeta e assicurano, senza esitazioni, di voler cancellare abitudini e privilegi da intoccabili. Non meno gettonato il termine di PRIMARIE per la corsa alla premiership, per i candidati in parlamento, per i governatori, i sindaci e gli amministratori locali. Se ne parla perché genera consenso, ma poi nelle liste tornano i soliti volti noti. Angelino Alfano e Giorgia Meloni volevano farle pure a destra, ma il dinosauro è tornato e tutto è saltato. Grillo, invece, le aveva organizzate per via telematica e ne è uscito fuori qualcosa di simile a un rito iniziatico. Restano immuni solo Casini e Fini.

Altra espressione in voga è  quella della ROTTAMAZIONE di cui Matteo Renzi ne è stato il portabandiera in seno al Pd. Nel Pdl a ringiovanire il Partito ci ha provato Meloni, assieme al giovanissimo sindaco di Pavia Alessandro Cattaneo. Ma pure in questo caso è stato il Cavaliere a dirigere i giochi. Berlusconi, per la verità, ha in mente un’idea tutta sua di rottamazione, mentre al centro Casini e Fini continuano a non voler rottamare nessuno.

Altro  termine  di cui si è fatto largo uso è quello di LISTE PULITE. Lo scorso autunno si era fatto tanto rumore con il ddl anticorruzione che avrebbe dovuto tener fuori i condannati dal Parlamento. Ci si era battuti per mesi, il risultato poi si è palesato davanti gli occhi di tutti. In vista della chiusura sui candidati, quella legge si rivela non adeguata a garantire concretamente “liste pulite”. Il divieto di candidarsi per i soli condannati in via definitiva con una pena minima di due anni per reati gravi non basta a fermare la grande massa dei nomi più discussi, cioè di  tutti coloro che hanno processi in corso per reati gravi, dall’ associazione mafiosa o camorristica alla corruzione, al finanziamento illecito alla frode.

C’è da dire che nelle regioni chiave per il Senato, come Campania e Sicilia, i nomi più compromessi sono proprio quelli che  portano più  voti e a cui è difficile rinunciare.

Quindi sopita l’epoca dei proclami seguiti allo scandalo Fiorito e ai tanti casi simili che hanno segnato l’ultimo anno, arrivati al dunque, ecco che gli impresentabili ridiventano presentabili; nel Pdl, in primis, ma non solo. In Campania, una delle tre – quattro regioni chiave della battaglia per il Senato, rinunciare ad un “big” come Nicola Cosentino potrebbe costare caro.

In Sicilia è invece il Pd ad avere il problema di non poter rinunciare a Vladimiro “Mirello” Crisafulli, ripreso in un incontro con il boss dell’ennese nel corso di un’inchiesta antimafia.  Il nodo degli impresentabili costituisce per il Pd uno degli ostacoli più seri ad una possibile collaborazione con “ Rivoluzione Civile” di Ingroia.

Nel centro le cose non vanno meglio, ed è tensione tra Massimo Donadi e Bruno Tabacci su una probabile alleanza con Raffaele Lombardo, ex presidente della Sicilia indagato per concorso esterno in associazione mafiosa. A questo punto pare che solo l’ex Idv punti “davvero a liste pulite” e dice no.

Altro slogan quello delle TASSE e dell’ IMU, un dibattito che ricorda, appunto, quello dell’Ici del 2006 prima, e del 2008 poi.  Ora si dichiarano tutti pronti ad abolirlo. Dopo Berlusconi e persino Monti, si aggiunge al coro dei suoi detrattori anche il leader di Sel, Nichi Vendola. Bersani, invece, propone di abolire l’ IMU per chi paga meno di 500 Euro.

Ma è davvero possibile abolire l’IMU? E, soprattutto, può il Professor Monti, dopo averla introdotta, dichiararsi pronto a ridiscuterla?

Sono questi  i principali temi attorno ai quali si concentrano i  dibattiti televisivi, talk show e tribune elettorali. E sono, naturalmente, gli stessi argomenti sui quali i mezzi busti più noti dello scenario televisivo italiano e le penne più accreditate della nostra carta stampata amano intervistare veterani ed esordienti nella campagna elettorale.

(fonte immagine: http://www.polisblog.it/)

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