Il tramonto della banca spagnola

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Previsti per il 2013 piú di 20.000 licenziamenti nel settore bancario iberico per rimetterlo in piedi

di Maria Bonillo Vidal

Rodrigo Rato, ex presidente di Bankia (Fonte immagine: abc.es/reuters)

Rodrigo Rato, ex presidente di Bankia (Fonte immagine: abc.es/reuters)

Piú di 45.700 uffici e 270.500 lavoratori. Questo è il riflesso di una splendida, brillante, espansiva e – paradossalmente – distruttiva epoca della settore bancario in Spagna. Sono numeri del 2008: cinque anni dopo, piú di otto banche (nazionalizzate e poi salvate con soldi europei), devono fare un “adattamento” che si tradurrà in oltre 20.000 licenziamenti. Senza dubbio, un vero tramonto del settore che poco tempo fa godeva di un’apparente buona salute.

I grandi processi di fusione sono stati i colpevoli, in parte, di questa distruzione del lavoro. Il piano di risanamento che dovranno portare avanti le banche risponde anche all’obbligo di politiche di austerity imposto dalla Commissione Europea, proprietaria dei fondi che hanno evitato il fallimento del settore.

L’istituto di credito che licenzierà il maggior numero di lavoratori è Bankia, uno dei giganti della banca spagnola e quello che ha provocato un vero buco nero di dimensioni stratosferiche nei conti pubblici, visto che lo Stato si è fatto carico dei suoi debiti. Ora, questa banca, nata dall’unione tra Bancaja e Caja Madrid, manderà via piú di 6.000 persone e chiuderà circa 1.100 uffici.  Sarà il maggior ERE (Expediente di Regulazione del Lavoro) nel campo finanziario in Spagna.

La segue Banco Santander, con un piano che prevede l’uscita di 3.000 lavoratori, cosí come NovaGalicia, con 2.500 persone da mettere alla porta entro il 2016. Le condizioni europee non si limitano solo al numero di licenziamenti (l’intero settore bancario perderà fino al 65 % dei suoi impiegati), ma anche al costo di questi congedi. L’Europa appoggia le misure neoliberali del presidente Mariano Rajoy e prevede che gli indennizzi siano conformi alla riforma del mercato del lavoro approvata l’anno scorso, cioè 20 giorni per anno lavorato, per un massimo di 12 mesi.

Durante la ristrutturazione precedente, Bankia aveva pagato ai lavoratori 45 giorni per anno lavorato, senza limiti, e in piú un premio di 30.000 euro. Forse questi “omaggi” e le buonuscite miliardarie dei capi banchieri sono state troppo durante gli anni di prosperità economica, ma la realtà è che ora le cose non sono cambiate.

Un esempio in tal senso viene dalla vicenda di Rodrigo Rato, direttore di Bankia: dopo aver lasciato questa banca nella rovina piú assoluta, rendendo possibile il salvataggio dell’istituto solo grazie ai soldi dei contribuenti spagnoli (che però soffrono i tagli agli investimenti e ai servizi sociali), è andato a lavorare per una cifra astronomica a Telefonica, la piú grande impresa di telefonia nell’ambito sudamericano. Mentre in piazza i cittadini chiedono un processo, contro tutti i responsabili di questa triste situazione.

Tutti questi licenziamenti lasciano il Paese in una situazione simile a quella pre-democratica. Negli anni ’70 c’erano gli stessi impiegati della banca di ora. In totale, dall’inizio della crisi fino ad ora,  piú di 50.000 posti di lavoro nel settore bancario saranno letteralmente spariti.

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