Negozi, le aperture della discordia
I servizi commerciali hanno piena libertà nella aperture: lavoratori contrari
di Vito Graffeo
IL DECRETO MONTI – Lo chiamarono “Salva Italia”: fu il primo decreto di peso del Governo Monti, quello tecnico che doveva risollevare il Paese e portarlo gradualmente al rilancio, partendo proprio magari dai consumi. In nome della liberalizzazione si diede il via ad una sorta di “far west” legalizzato del settore del commercio e dei servizi.
APERTURE – Piccoli e grandi negozi, centri commerciali e ipermercati i destinatari principali della novità: aperture senza limiti di orari ogni giorno, senza vincoli di chiusure infrasettimanali e di conseguenza piena libertà di alzare le serrande anche di domenica, nei giorni festivi, quelli rossi in calendario per intenderci.
LA NORMA – Scorrendo il suddetto Dl, poi divenuto Legge n. 214 del 22/12/11, n. 214, bisogna andare al Titolo IV, art. 31 per capire di cosa si parli. In sostanza, un passaggio abolisce una serie di limiti e prescrizioni quali “il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio”. Appena quattro righe sulla Gazzetta Ufficiale, un mondo invece che cambia, quello del commercio.
CONSEGUENZE – Ogni esercizio commerciale non è più tenuto a rispettare i vincoli di apertura al pubblico: sorridono le insegne di spicco della GDO (Grande Distribuzione Organizzata), un po’ meno i piccoli e medi esercenti. La concorrenza è sproporzionata poiché diverse sono le possibilità finanziarie dei singoli attori. I grandi marchi strizzano l’occhio alla novità, meno i piccoli negozi di quartieri o dei centri più piccoli che endemicamente devono competere già a fatica con le realtà di spicco.
LA DOMENICA – Il nodo principale è nell’apertura domenicale che sembra non accontentare molti: lavoratori ed appunto piccoli esercenti che devono misurarsi con dinamiche che alterano alcuni equilibri sociali non di poco conto. I dipendenti della GDO ad esempio non hanno più una domenica libera, giorno per definizione sociale che andrebbe dedicato alla famiglia, alla cura degli affetti, al tempo libero.
SOLUZIONE – La palla passa alle Regioni le quali possono agire in deroga, regolando di conseguenza orari e giorni (per esempio in Toscana è stato imposto un limite di 13 ore nell’arco della giornata). I fatti però parlano ormai chiaro: in tutta la penisola vige una libertà che mette in secondo piano ogni esigenza dei lavoratori. Negli scorsi mesi si sono nati dei movimenti di protesta che hanno mobilitato migliaia di persone con una raccolta firme (per esempio in molte parrocchie).
IL PUNTO – La questione che intendiamo valutare e affrontare mira a capire quali benefici abbia portato una modifica simile. Si voleva far ripartire l’Italia dai consumi, ovvero inducendo e la popolazione con la possibilità di rendere più fruibili e disponibili gli acquisti. Un cortocircuito in essere però dovuto alle difficoltà economiche diffuse in particolare nel ceto medio, quello che più di tutti soffre la crisi ed è il più vessato e debilitato da ogni manovra finanziaria. Lo stesso ceto al quale appartengono anche molti dei lavoratori del Commercio e dei Servizi che “pagano” con orari che penalizzano la vita sociale ed in particolare familiare.
A tal proposito è nato anche un movimento d’opinione e di iniziativa su base europea, la “European Sunday Alliance” che si pone come obiettivo la tutela della domenica come giorno dedicato principalmente all’affermazione della persona/lavoratore e dei suoi affetti. Un grido che arriva da più parti e che non può essere ignorato poiché richiama all’attenzione una serie di valori e principi che vanno ben oltre le singole dinamiche legislative, economiche e finanziarie.
PER SAPERNE DI PIÚ
SALVA ITALIA – IL TESTO
CHIESA, SINDACATI E SUNDAY ALLIANCE
LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA I RICORSI