“Come risolvere in due problemi che da solo non avresti”
Due spettacoli, un solo argomento: la precarietà dei sentimenti. Intervista all’autrice Maria Antonia Fama
di Alessia Carlozzo
“Come risolvere in due problemi che da solo non avresti” è tragicomicamente reale. Una perfetta fotografia del rapporto di coppia scattata impietosamente e ironicamente da Lorenzo Misuraca e Maria Antonia Fama autori delle due parti di cui si compone lo spettacolo, realizzato dalla compagna La Cattiva Strada e Nero Artifex con Alessandro Di Somma e Ermenegildo Marciante per la regia di Velia Viti.
Una serie di monologhi che analizzano e portano in scena il punto di vista di lui in “Cuori Monolocali” e il punto di vista di lei in “Appese a un filo”. Due momenti, anche temporali, diversi ma legati da un comune denominatore: l’eterno incontro/scontro tra i due sessi, l’instabilità emotiva degli stessi, la voglia di trovarsi, ma allo stesso tempo le difficoltà di capirsi fino in fondo senza filtri di sorta. Una precarietà dei sentimenti che come spiega Maria Antonia Fama “diventa essenza stessa del genere umano, del rapporto uomo-donna sin dalle sue origini.”
Lei è anche autrice di “Diario di un precario (sentimentale)” si potrebbero definire i due monologhi come una sorta di prosecuzione del precedente lavoro?
“Diario di un precario (sentimentale)” racconta come il precariato, nel senso di condizione lavorativa, si trasformi in precarietà esistenziale. Avere un contratto a progetto, o lavorare sommando due o tre occupazioni, ti porta a fare la spesa in tre supermercati diversi, per scegliere le offerte più vantaggiose, o a vivere relazioni sentimentali da quindicenni quando in realtà di anni ne hai trenta. In questo senso forse sì, si può dire che “Appese a un filo” e “Cuori monolocali” siano in qualche modo la prosecuzione di una strada intrapresa con “Diario di un precario (sentimentale)” testo in cui, però, la dimensione polita e sociale è molto più forte. In quel caso parliamo di satira, nei due monologhi di “Come risolvere in 2 problemi che sa soli non avreste” è piuttosto ironia. Anzi, auto-ironia salvifica!
Nel primo dei tre monologhi di “Appese a un filo“, che si intitola “Piange il telefono“, la donna in questione fa i conti con un cellulare senza credito, il suo e quello dell’uomo che la chiama. E’ una relazione fondata sul “pay for me“. Nel secondo, “L’Appuntamento“, predomina il senso dell’attesa. In “Cuori monolocali” si fa riferimento alla dimensione precaria, nel senso di non duratura e passeggera, delle relazioni in modalità fast food dei sentimenti. O alla continua lotta interna, tipica soprattutto dell’uomo, tra l’esigenza di fermarsi, di costruire,di avere una casa, e la spinta ad andare, a correre, a conquistare “terre sconosciute”. E’ la vecchia storia di Ulisse che sogna Itaca ma non ci arriva mai.
Quanto influisce l’atteggiamento tipico della generazione dei neo o quasi trentenni di voler in qualche modo evitare eccessive responsabilità, anche e soprattutto nei legami sentimentali. La precarietà quanto è una sorta di scudo per evitare di affrontare determinate tematiche all’interno di una coppia?
La tendenza a rifiutare i legami sentimentali è proprio quello su cui, in maniera anche auto-ironica, vogliamo giocare e scherzare, portando però in scena la nostra generazione come parte di una storia infinita che si ripete, quella dell’umanità, degli uomini e delle donne, che da secoli si cercano e non si trovano. O sono costretti a stare insieme senza mai riuscire a capirsi davvero. E’ per questo che abbiamo scelto di non fare uno spettacolo sulla coppia. Ma due monologhi su lui e su lei, unici protagonisti in scena, alle prese con un interlocutore di sesso opposto in parte desiderato, in parte reale.
E’ vero, a volte la precarietà può diventare uno scudo per non affrontare certe discussioni, per non prendere decisioni. Un figlio, un matrimonio, una convivenza. In parte, invece, è una realtà fatta di impedimenti concreti, di quelle condizioni della vita materiale che influenzano inevitabilmente la propria visione del mondo e le proprie scelte. Ma c’è anche un’altra parte. E’ la precarietà della natura umana l’oggetto reale del nostro interesse. E quella, la natura umana, forse è da sempre come la raccontiamo qui ed ora noi.
Cos’è per lei la precarietà nei sentimenti e quale potrebbe essere una possibile formula per superarla al di là della questione politico/economica? L’illusione di un “contratto a tempo indeterminato” sentimentale può ancora valere e concretizzarsi oggi?
I personaggi che descriviamo nei due monologhi sono tutti uomini e donne che fanno i conti con se stessi e i loro desideri sentimentali, e che si trovano in qualche modo in delle fasi di passaggio, delle linee d’ombra. La paura di invecchiare senza aver visto il mondo intero, perché ogni donna è un universo, un paese di cui baciare la terra, come dice uno degli uomini. Ma anche la voglia di non correre più per inseguire, e nemmeno per scappare, di non elemosinare più amore, di essere quella per cui vale la pena. Mi si perdoni il gioco di parole, ma credo che precarietà nei sentimenti voglia dire sentirsi sempre appesi a un filo, o bussare alla porta di cuori monolocali, in cui non ci sia posto neanche per piegare i propri ricordi, come si fa con i maglioni.
Ci hanno illuso che il tempo determinato poteva essere una condizione passeggera, e che prima o poi ci saremmo sistemati. E per questo abbiamo cominciato a spingere l’amore e i sentimenti, come la casa e la famiglia, sempre più avanti nel tempo. Credo che il modo per superare la precarietà sentimentale saltando la dimensione economica, sia rendersi conto che se con un contratto a progetto non si possono fare molti progetti, allora meglio cominciare dal presente, piuttosto che aspettare il futuro. Servono una buona dose di ironia, fatalità e coraggio. Tanto coraggio. Quello per amarsi, e mettere al mondo altre vite. Nonostante il rosso in banca. Perché ci sono cose più importanti, di cui non ci si può privare.
Alessia Carlozzo (@acarlozzo)
“Come risolvere in due problemi che da solo non avresti”
“Cuori Monolocali” / “Appese a un filo”
Roma, Teatro Studio Uno
22 gennaio -10 febbraio 2013
Uno spettacolo 10 € | due spettacoli 15 €
2 risposte
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