Campi Rom tra blitz e incapacità politica

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La questione rom è da anni una spina nel fianco dell’amministrazione di Roma

di Lorenzo Tagliaferri

(fonte immagine: eclipse-magazine.it)

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Le amministrazioni della Capitale, dagli anni ’90 ad oggi hanno sempre provato a trovare una sorta di soluzione definitiva al problema rom. Una questione che, chiaramente, richiederebbe più di un semplice provvedimento da portare in Campidoglio e che risulterebbe di più facile comprensione se a svilupparlo potessero concorrere le agenzie delle diverse realtà sociali di Roma, magari puntando la lente d’ingrandimento sulle tematiche più propriamente culturali della questione.

Per adesso ci si limita alla messa in campo di mezzi e uomini per mantenere una sorta di forma di “controllo” del fenomeno Rom attraverso la cultura del “blitz”. L’ultimo, in ordine di tempo, è quello avvenuto nella giornata di mercoledì 23 nel campo rom in via Luigi Candoni, quando i Carabinieri hanno proceduto all’identificazione di 400 persone, di cui 120 con precedenti con la giustizia italiana, il controllo di 65 autovetture ed il fermo di 10 stranieri la cui posizione di regolarità nel nostro paese è ora sotto la lente d’ingrandimento.

Quella dei “piani rom” è ormai una teoria decennale che vuole dimostrare quante siano le difficoltà delle amministrazioni nel gestire il fenomeno. La storia dei “campi rom” ha inizio nel 1994, quando l’amministrazione Rutelli presenta, il 17 gennaio, un piano per la costruzione di dieci campi rom entro la fine dell’anno. Il primo campo ad essere inaugurato è quello in via Salviati. Da qui al passo successivo occorrono ben 5 anni.

È del 1999, infatti, la nuova proposta avanzata dalla seconda amministrazione Rutelli, con lo stanziamento di circa 12 miliardi di lire per lo sviluppo di ulteriori progetti di contenimento del fenomeno rom. I fondi, in quell’occasione, vengono gestiti da consigliere delegato del sindaco di Roma per gli “affari nomadi”, Luigi Lusi, divenuto famoso, molti anni dopo, per un’inchiesta su fondi pubblici spariti destinati alle casse della Margherita.

Bisognerà aspettare il 18 maggio 2007, quando con la sottoscrizione del prefetto di Roma, Achille Serra, del sindaco di Roma Walter Veltroni, del presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo e dal presidente della provincia di Roma Enrico Gasbarra, alla presenza del ministro dell’interno Giuliano Amato veniva varato il “Patto per Roma Sicura” che chiariva nelle sue linee guida la costruzione di almeno 4 “villaggi della solidarietà” in grado di accogliere circa 1.000 persone.

L’ennesimo, e per il momento ultimo, “piano nomadi” risale al 31 luglio 2009 quando la giunta Alemanno vara un progetto di costruzione di 13 “villaggi attrezzati” in grado di accogliere circa 6.000 rom. Il piano per la costruzione ha evidenziato costi annuali di circa 20 milioni di euro e rappresenta solo l’ennesimo tentativo ben riuscito di isolare, nel degrado, quella che è una realtà sociale che si caratterizza soprattutto per la continua violazione dei diritti umani.

La questione rom nella città di Roma è uno dei primissimi grattacapi che la futura amministrazione, non escludendo Regione e Provincia, si troverà ad affrontare per dare una decisa svolta al problema che coinvolge, si in parte la sicurezza della città, ma soprattutto il rispetto della vita e della dignità dell’individuo di questa e delle futura generazioni.

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