“Bipolare”: il tour che confonde e accarezza Roma
Ri-adattamenti musicali per Meg & Colapesce all’Auditorium, tra incroci, sorpassi e deviazioni (artistiche)
di Valentina Palermi
Le luci seguono le note di un battere energico, mentre la voce di Meg segue le note per andare nelle profondità. Ha inizio così l’appuntamento romano (ospitato dall’ Auditorium Parco della Musica lo scorso mercoledì) di un tour particolare, quello “Bipolare”, con il quale l’artista partenopea e Colapesce danno vita a una collaborazione, un po’ avvicinandosi una alle “profondità sconosciute” dell’altro, oppure “tuffandosi” al loro interno per cercare di trovare il giusto punto d’incontro.
Ad accompagnarli, Alessandro Quintavalle (contrabbasso elettrico) e Mario Conte (tastiere e synth), candele e bulbi intermittenti, e uno scenario etereo e limpido come i candidi drappi appesi dietro di loro e un manto bianco che ricopre il palco e gli strumenti. Tutto è più chiaro con “Succhio luce”.
Comprendiamo l’ispirazione dello pseudonimo del giovane talento cantautorale siciliano, Lorenzo Urciullo, alla Leggenda di Colapesce – nonostante altre voci parlino della sua passione per la coca cola e il mare (?) – nella sua abilità di raccontare di meraviglie viste e riportare a galla preziosi tesori, proprio come questo figlio di un pescatore.
“S’illumina” la coppia Colapesce-Meg in uno (s)cambio di ruoli: la femminilità suadente e consapevole della cantante diventa quasi bambinesca quando si diverte a unire queste due facce di sé, e il pezzo successivo, con uno strumento (quasi un gioco) di legno.
Lui ci regala una delicata (e alternativa) versione di “Sfumature”, “impercettibili” dall’originale se ci si lascia trasportare dall’eco del canto della sirena, che trasporta in “Un Giorno Di Festa”, senza chiedere “Permesso?”. Il concerto alterna momenti acustici in cui predomina la dolcezza delle voci, a lunghe sessions in cui l’elettronica si fa prepotentemente sentire.
Il capoluogo dei “mille culure” sembra quasi barocco e impertinente in “Napoli città aperta”, e passionale come un tango o un flamenco. Voci, chitarre, percussioni, un contrabbasso e un synth, oltre a quello che sembra essere tavolo, sul quale creare nuove melodie per accompagnarla.
Il telo bianco copre tutto, e lo percepisci come fosse melanconica polvere o enigmatico abisso, da esplorare standosene “Sottocoperta”: il battito del cuore si accelera, si naviga a filo d’acqua e ci si emoziona con quest’inedito, che si chiude citando “Tonight, tonight” degli Smashing Pumpkins.
Dall’ “Oasi”, a bordo di “Parole Alate” interrotte da sviolinate e graffi elettrici, verso “Il Confine” inedito: “lacrime di gioia”, lampi di luce e tuoni sonori rendono l’aria luminosa di tempesta. E la musica si fa scientificamente naturale, un po’ come Björk.
Fanno il bello e il cattivo tempo. Forse è meglio se “Restiamo in casa”, si dicono. Una voce fuori campo rafforza ed evoca le parole di Colapesce: una radio mal sintonizzata, o un messaggio dallo Spazio?
La presenza di Meg dà forza alla riservata timidezza di Colapesce, talvolta non sovrastandola, ma accarezzandola e facendola riemergere in superficie. “É troppo facile” per lei, che recita di purezza, passione e “progressiva“ dolcezza. Rosso, bianco e rosa: anche la sua voce sembra avere un colore, come tutto quello che in questo momento li circonda.
Un “falso allarme” e, riaccordata la chitarra, parte il “Satellite”, brano che ha visto nascere l’avventura dei nostri in tour. Freddo candore, e non capiamo se siamo nelle profondità marine o sulla Luna: tant’è che anche qui, come in tutto il concerto, c’è l’amore, talvolta insidioso e cupo, ma anche leggero e garbato.
Con il suo inedito “Promemoria”, Meg ipnotizza: sui “puntini sospensivi” sembra quasi di saltarci – prima una gamba e poi l’altra – sostando su piccole nuvole. Più forti i brividi che la dea elettronica fa sentire, cercando di non apparire “Distante”, incitando tutti noi, che fino a quel momento avevamo perlopiù reagito segnando il ritmo, battendo le mani, ad alzarci da quei sedili, ancora una volta superflui [come per i Nobraino].
Quasi al termine, parlando di “Bogotà”, in alcuni frangenti la musica sovrasta l’urlo soffocato e roco di Colapesce, ma il pubblico (bravissimo!) fa eco armoniosamente. Lui ironicamente si sfoga, che “non è facile suonare con tre napoletani!”, perciò “stemperate la tensione”, esorta Meg.
Altro falso allarme per il bis, annunciato da un rientro esplosivo fatto di “Audioricordi”, che si trasformano in un carillon melodico, in un soffio di vento che esce dalle sue labbra. Con la “Simbiosi” si apprezza la poliedricità del musicista Colapesce, per poi trovarcelo lì, come un Battiato “acerbo”, a cantare “Summer On A Solitary Beach” del 1981 nel finale. In piedi, la Sala Petrassi canta, si emoziona, ondeggia.
Ma uscendo si dispiace che questo appuntamento speciale non abbia saputo dare all’artista siculo la giusta dimensione, confondendo e annullando i limiti con la forte presenza della compagine napoletana. Tuttavia non disperate! Infatti “l’8 febbraio, di ritorno dalle fatiche bipolari”, Colapesce terrà “uno specialissimo concerto acustico per gli amici di Le Mura. Un luogo che per me, e per tutta 42records, è quasi casa.”
Perché “Roma: si scrive sold out, ma si legge grazie.”