Campi nomadi: a Roma addio villaggi attrezzati?
Edilizia pubblica come soluzione abitativa per le famiglie rom della Capitale? Non solo Roma però: gli esempi di Padova, Bologna e Messina
di Lorenzo Tagliaferri
L’Associazione 21 Luglio saluta come “una vittoria sul campo dei diritti umani” il netto cambio di direzione delle politiche fin qui adottate per risolvere la questione dei campi rom. Cambio di direzione che guidi ad una più solidale risoluzione dei disagi e ad una migliore, e più sostenibile, convivenza con il fenomeno. Nello specifico ci si riferisce alla pubblicazione da parte del Dipartimento delle politiche abitative di Roma Capitale del nuovo avviso per l’assegnazione in locazione di alloggi di edilizia pubblica.
La grande novità in graduatoria è la possibilità di accedere al punteggio più alto per tutti quei nuclei familiari, italiani e stranieri, che dimorino “in strutture procurate a titolo provvisorio, da organi, enti e associazioni di volontariato riconosciute ed autorizzate preposti all’assistenza pubblica, con permanenza continuativa nei predetti ricoveri da almeno un anno”. Secondo l’Associazione 21 Luglio degli oltre 3.600 rom che vivono negli 8 “villaggi attrezzati” che potrebbero rientrare nella speciale graduatoria, sono 1.500 quelli che troverebbero finalmente una sistemazione alternativa ai campi rom.
Siamo dunque di fronte ad una novità assoluta per i nomadi della Capitale, a differenza del resto del Paese, dove già si contano diversi approcci con situazioni del tutto simili a questa e che portano a prendere in considerazione diverse metodologie utili ad affrontare e risolvere la questione. Ne sono esempi utili i provvedimenti presi per il superamento della soluzione “campi rom” dai comuni di Padova, di Bologna e di Messina.
Nel caso della città veneta si è preceduto con il metodo dell’autocostruzione. È stato infatti promosso un progetto per realizzare 11 appartamenti grazie anche all’aiuto di 8 rom che hanno contribuito alla costruzione dopo aver frequentato un apposito corso di formazione. Queste abitazioni ospitano 32 persone che compongono alcuni nuclei familiari e che hanno sottoscritto un regolare contratto d’affitto con un canone adeguato al reddito delle famiglie, canone dal quale sono state detratte alcune mensilità in ragione del lavoro fornito per lo sviluppo dei progetti.
Per il caso di Bologna si è pensato a favorire dei percorsi di autonoma alloggiativa per tutte quelle famiglie rom in possesso di un regolare contratto di lavoro. Dopo aver provveduto a reperire abitazioni sfitte e averle affidate ad una cooperativa, il Comune della città emiliana ha proceduto ad alla locazione degli immobili con un ribasso del 50% del canone per le famiglie beneficiarie del provvedimento. La conclusione di tale percorso è l’inserimento di quasi 200 persone negli appartamenti, circa 44 famiglie rom.
In ultimo viene il caso di Messina, che grazie ad un bando del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha proceduto alla bonifica di una zona della città adibita a “campo rom” trasferendo le famiglie che vi si trovavano all’interno in una serie di edifici appartenenti al Comune. In questo modo non solo è stata evitata ogni forma di ghettizzazione, ma si è anche provveduto a restituire alla città un’area in evidente stato di abbandono e quasi del tutto inaccessibile alla cittadinanza.
Il funzionamento di questo tipologie di processi di integrazione lascia intravedere la fatidica luce in fondo al tunnel. Appianare le differenze tra cittadini “serie a e serie b” è sempre stato uno dei più efficienti sistemi per calmierare processi distorsivi della vita sociale. L’integrazione è soprattutto coltivazione e produzione di benessere, di arricchimento culturale e di progresso sociale. Una sorta di nuovo inizio della convivenza tra la città di Roma e il fenomeno rom.
Per saperne di più: Associazione 21 Luglio