Una coperta troppo corta
E’ scattato il divieto di pubblicare sondaggi, intanto la distanza tra i due schieramenti si fa sempre più stretta e nel Pd cresce il timore che non si disponga di una maggioranza per governare
di Alessia Ricci
Il centrosinistra resta in vantaggio, ma il margine che divide le coalizioni si è ridotto a 5 punti e mezzo. Tali tendenze sono il frutto di logiche difficili da valutare distintamente. Da un lato lo scandalo MPS che ha, sicuramente, gettato un alone di sfiducia nei confronti del PD. Ha associato al centrosinistra il fallimento di una banca, in un momento in cui le stesse sono percepite dai cittadini come la causa dei mali. Il centrodestra, invece, beneficia della capacità di protagonismo di Berlusconi. Quasi sembra di essere nel 2006 in cui la rimonta di Berlusconi su Prodi avvenne proprio nelle ultime due settimane. Ma le differenze sono pure troppo evidenti. Nel 2006 la sfida era tra due coalizioni con all’interno partiti di ogni dimensioni, oggi, sono presenti altri concorrenti, che sicuramente non hanno possibilità di vincere ma che complicano la situazione. Monti e la sua coalizione di centro, da un lato, che chiede a Bersani di smarcarsi da Vendola; Beppe Grillo e il M5S, dall’altro.
Il pericolo maggiore è costituito dalla frammentazione e il rischio che si corre è che nessuno vinca alle prossime elezioni.
Di fatto, il convincimento che una sola coalizione non possa garantirsi la futura maggioranza parlamentare, costituisce il fondamento dell’idea rilanciata da Pier Luigi Bersani di estendere al centro l’alleanza dei progressisti da lui guidata, coinvolgendo la formazione di Mario Monti. Il segretario del Pd motiva tale scelta con la tesi secondo la quale la lista Monti condivide con il centrosinistra una visione “europeista”, in contrapposizione con il populismo di Berlusconi e di Grillo. Il pensiero di Bersani ha un fondamento logico: quali siano gli esiti delle elezioni, qualunque sia il risultato che verrà fuori al Senato, il centrosinistra si troverà a governare con un consenso effettivamente molto risicato per avviare un serio processo riformatore. Il leader del Pd vorrebbe ampliare il suo campo, e nello stesso tempo acquisire quella affidabilità di fronte ai mercati e alle tecnocrazie continentali che solo Monti potrebbe garantirgli.
Ma oggi il vero pericolo per il Pd è rappresentato dal dissanguamento dei suoi alleati, in particolare del principale, Nichi Vendola, ad opera di forze più radicali che lo accusano di essere rimasto imprigionato all’interno di un centrosinistra con un asse sbilanciato al centro. Il governatore pugliese, inizialmente, aveva accettato di dividere la scena con Antonio Di Pietro, in occasione della famosa foto di Vasto, in seguito era stato in grado di monopolizzarla, contribuendo a espungere da essa la figura dell’ex magistrato, divenuta scomoda. Nemmeno il tempo dei festeggiamenti ed ha dovuto assistere all’entrata in scena del pm Antonio Ingroia, che non ha accettato di fare il suo comprimario e, perfettamente in linea con la vocazione all’opposizione della sinistra, a sua volta, si è candidato a guidare l’ala “più orientale”.
La carica rivoluzionaria di Vendola, che gli aveva consentito di conquistare la scena politica pugliese prima e nazionale dopo, si sta affievolendo. Carica rivoluzionaria che, oggi, risiede in Ingroia. In base agli ultimi sondaggi, le due forze di sinistra si equivalgono. Ovvio che uno sbilanciamento verso il centro della coalizione “Italia Bene Comune” finirebbe per danneggiare Vendola a beneficio di Ingroia, che infatti cavalca l’onda: “L’accordo tra Bersani e Monti? La sciagura più grossa che si potesse annunciare”.
Stessa sorte per il leader dell’ Udc, Pier Ferdinando Casini. Mai personaggio più distante ideologicamente da Vendola, eppure rischiano di condividere lo stesso destino, vittime del fuoco amico. Casini, invece, è rimasto schiacciato dalla sua stessa creatura, Mario Monti. Era stato proprio il leader dell’Udc che, assieme al presidente Napolitano, aveva inventato il governo dei tecnici, assecondando con eccessivo entusiasmo l’esperimento Monti. Ma in politica, si sa, non esistono le riconoscenze e contano solo le convenienze. Così oggi Monti ha tutta la convenienza di accrescere il suo spazio al centro. Il Professore ha finito, quindi, per cannibalizzare il partito di Casini, che rischia di fare la fine di Gianfranco Fini.
La differenziazione dei compiti tra soggetti di una stessa coalizione e dei relativi elettori, deve costituire una regola fondamentale di ogni campagna elettorale. Pertanto, né Monti, né Vendola, ma tanto meno Bersani, hanno da guadagnare nel progettare scenari, schemi, e probabili alleanze su cui è inutile questionare prima di conoscere i concreti rapporti di forza che verranno fuori dalle urne. Attenzione a preparare con eccessiva cura il giorno successivo alla vittoria, se quel giorno ancora non è arrivato.
(fonte immagine: http://www.mediumitalic.com)