Benvenuti a Hollywoodland
Ieri la Los Angeles della “Gangster Squad” si è mostrata in anteprima in due cinema di Roma e Milano
di Valentina Palermi
Da “Zombieland” a Hollywoodland, il passo è breve per il regista Ruben Fleischer. Ma da un’America post-apocalittica, il salto nel tempo ci porta fino alla Los Angeles del 1949, fedelmente ricostruita nella sua ricchezza di sogni di gloria (cinematografica) e divertimenti clandestini, piena di dancing, ma anche di mafiosi che fanno “ballare” poliziotti e corrotti a suon di proiettili e pugni ben assestati.
Come quelli del disgustosamente violento e spietato Mickey Cohen, interpretato da Sean Penn (a tratti posseduto dal genio di Robert De Niro), un ex pugile ebreo della East Coast, che giunto sull’altro versante avidamente aspira a gestire tutto e tutti, sempre malinconicamente legato a Chicago, a cui va a mettere “un dito nell’occhio”.
Nella Città degli Angeli, dove la stampa vogliosa di sensazionalismo lo idolatra come un eroe (di Hollywood direi), puoi parlare direttamente con Dio parlando con Cohen. Le leggi? Sono quelle della corruzione, che ormai non fanno più incavolare nessuno. In pochi anni il gangster più “astuto”, grazie ai suoi giri di prostitute, armi, droga e scommesse illegali, riesce a stringere nella propria morsa anche politici e poliziotti. Ovviamente non tutti. In particolare una Gangster Squad, desiderata dal “visionario” capo della polizia William Parker (Nick Nolte).
Dietro un grande uomo, dicono, c’è sempre una grande donna. E proprio perché “Cohen la città se la può tenere, ma non mio marito”, la moglie dell’integerrimo e poco ortodosso sergente John O’Mara (Josh Brolin) sapientemente sceglie i “figli della notte”, che insieme a lui andranno a formare quella squadra segreta, specialmente incorruttibile e ostinata ad acciuffare Mickey (Cohen, non Mouse) e a distruggere il suo impero.
La vera storia di uno dei gangster più ricercati d’America (e noi che eravamo rimasti ad Al Capone!), racchiusa negli articoli pubblicati sul Los Angeles Times da Paul Lieberman, e poi nel libro Tales of the Gangster Squad, trova così tutti i suoi “attori”: come il “pistolero più veloce del West” Max Kennard (interpretato da Robert Patrick), la docile caricatura del novellino determinato Navidad Ramirez (Michael Peña), il “bravo ragazzo” Coleman Harris (Anthony Mackie), e l’“idealista” Conway Keeler (Giovanni Ribisi, che si prende due rivincite, slegandosi per un lato dal ruolo del pazzo e disturbato a cui ci ha spesso abituato). E infine lui, il “braccio destro” Jerry Wooters (Ryan Gosling), che arriva alla fine, bello come il sole (spacca il minuto, ma non sbaglia giorno).
Uniti, non lavorano su un caso, ma lottano. Sebbene il Secondo Conflitto Mondiale sia alle spalle, il futuro li costringe ad andare in “guerra per salvare l’anima di Los Angeles”, quella Città degli Angeli sulle cui rovine ne nascerà una nuova. Per Mickey Cohen non si tratta più di omicidi ma di “nuovo” e di “progresso”, per cui anche “pallottole e parole che scappano non tornano indietro”. Ovviamente senza dimenticare di sollazzarsi da cotanta fatica con l’aspirante attrice Grace Faraday (Emma Stone), patinata, fatale e desiderata dal cattivo (Mickey, appunto) come dal buono (Jerry, e perché darle torto?), proprio come conviene al cliché del genere.
Ma “per eliminare un gangster, devi agire come un gangster!”. Per questo motivo angeli e demoni, oltre che condividere romanticamente la stessa donna, si ritrovano a usare gli stessi mezzi: bombe, corpi crivellati di pallottole, pugni, esecuzioni splatter e schizzi di sangue a go-go. Il tutto, spesso attentamente evidenziato dagli slow motion (ecco qui quegli ingredienti tanto cari anche al più ardito Tarantino), in un film che si rivela tanto pieno di elementi classici quanto fumettistico, che tra qualche mano sugli occhi (soprattutto nel pubblico femminile), qualche risata la strappa.
Ma che si combatta contro zombie o gangster, quello di cui alla fine ci si rende conto è che, nonostante gli ideali e una squadra di amici e compagni al proprio fianco, l’unica famiglia di cui ha bisogno è quella che si ha nel cuore.