Genova 2001: un copione già scritto

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Intervista a Massimo Lauria, co-regista di “The Summit”

di Giorgia Braico

Massimo Lauria. Fonte immagine: thesummit-ilfilm.it

Massimo Lauria. Fonte immagine: thesummit-ilfilm.it

Dopo la recensione del film, pubblicata nel numero 171, pubblichiamo la seconda parte dell’articolo dedicato a The Summit –  I tre giorni della vergogna, documentario/inchiesta sugli eventi del G8 di Genova, diretto dai giornalisti Franco Fracassi e Massimo Lauria.

Proprio quest’ultimo si è gentilmente prestato ad essere intervistato da Ghigliottina.

Innanzitutto la domanda più ovvia, cosa ha spinto te e Franco Fracassi a girare questo documentario-inchiesta?

Dalle cronache di quei giorni non si aveva la vera percezione di quanto stesse realmente accadendo a Genova. Soprattutto, non si capiva perché una repressione così dura. Allora abbiamo cominciato a indagare, scoprendo che le strategie di repressione erano pronte da molti mesi; un copione già scritto, solo da interpretare nel modo più fedele. E questo al solo scopo di abbattere un movimento che nasceva a livello globale e di cui i grandi poteri economici cominciavano ad aver paura. Tutto era stato deciso da un coordinamento di governi e intelligence a livello internazionale.

Come mai avete deciso di fare questo film proprio ora e a così tanti anni di distanza? E’ un momento particolare, o ci sono altre motivazioni?

A volte solo con un po’ di distanza temporale si ha la lucidità per guardare in modo più oggettivo le cose. E credo che con The Summit sia accaduto proprio questo. L’inchiesta – realizzata da un team di giovani giornalisti – è iniziata nel 2009, ed è durata un paio d’anni. Poi è arrivato il momento di girare il film. Ed eccoci arrivati alla fine del 2011, con il lavoro ormai completato. Solo da quel momento The Summit ha cominciato la sua vita nei festival e ora finalmente al cinema.

Alla conferenza di presentazione del film era presente il padre di Carlo Giuliani. Ha contribuito in qualche maniera alla realizzazione del documentario?

Giuliano Giuliani l’avevamo sentito come parte in causa della storia. Così come pure Heidi, la madre di Carlo. Entrambi ci avevano fornito elementi utili a capire che cosa fosse realmente accaduto in piazza Alimonda, quando un carabiniere ha sparato a loro figlio. Ma il film l’hanno visto solo dopo, quando ormai il lavoro era finito. La loro convinzione che quello sia stato un omicidio quantomeno controverso, le testimonianze degli esperti che hanno realizzato i rilievi e hanno studiato le immagini di qual momento, ci hanno poi portato a sviluppare l’idea che in effetti la circostanza della morte di Carlo è avvolta da molti dubbi, parte dei quali sono contenuti all’interno del documentario.

Che ne pensi delle altre ricostruzioni sui fatti di Genova, in particolare Diaz di Daniele Vicari?

Vicari, di cui apprezzo il lavoro, ha raccontato sostanzialmente di come si è arrivati al raid nella scuola Diaz. Non aveva la pretesa di spiegare che cosa è stato il G8, ma ha avuto il grande pregio di raccontare una storia collettiva, senza un punto di vista unico. Grazie alle possibilità della finzione, è riuscito a riproporre i racconti di chi dentro quella scuola c’era.

E come si pone il vostro documentario rispetto proprio ad un film come Diaz?

Il nostro è un documentario, appunto. Abbiamo raccolto elementi di testimonianza di chi ha vissuto quei giorni. Noi cerchiamo di raccontare le ragioni di quanto abbiamo visto accadere, inserendo gli elementi narrativi propri del racconto, così che lo spettatore possa anche – permettimi il termine – godere di una storia.

Eravate presenti durante i fatti di Genova?

C’eravamo entrambi. Franco Fracassi era stato inviato come giornalista per seguire gli scontri, peraltro preannunciati da tempo. Mentre io ero lì come manifestante, impegnato a correre e correre per evitare di prendere le botte da parte delle forze dell’ordine. E per fortuna ci sono riuscito.

Qual è il messaggio di questo documentario?

Non mi piace suggerire messaggi da trovare in un lavoro, soprattutto se ho contribuito a realizzarlo. Preferisco un approccio più laico: ognuno si faccia l’idea che crede. Noi abbiamo infarcito il racconto di elementi oggettivi e documentati, per il resto lasciamo che sia lo spettatore a tirare le somme. Di certo, quello che noi stessi abbiamo capito, è che in quei giorni si è volutamente compiuta una sospensione dei diritti civili di tutti noi, massacrando un sacco di gente. Lo scopo? Terrorizzare chi da quel momento avrebbe voluto continuare a manifestare pubblicamente per rivendicare i propri diritti.

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