Sankara e la politica della felicità
La vicenda del “Ché nero” e del Burkina Faso come paradigma dell’Imperialismo
di Guglielmo Sano
Ricordando la storia di Thomas Sankara non ci stupiamo dell’esiguo spazio riservatogli all’interno del circuito internazionale dell’informazione, sia nell’immediatezza dei fatti che ne causarono la morte, sia nei trenta e più anni che ci distanziano dal gravissimo episodio che lo vide tragico protagonista.
Sankara era un giovane abitante dell’Alto Volta. Questo era un piccolo territorio dell’Africa subsahariana, parte dell’immenso impero francese, al quale venne dato il nome in base alla posizione occupata rispetto al bacino dell’omonimo fiume, appunto, il Volta.
Nato nel 1949, a scuola si ribellò a un ordine imposto da un bianco, successivamente sarebbe stato punito suo padre, così prescriveva la legge del dominatore francese. Entrò nell’esercito, la migliore strada che potesse prendere in quel periodo un giovane burkinabè, questo è il nome del popolo stanziatosi nel territorio dell’Alto Volta. Dopo una sommossa, divenne primo ministro nel 1984. Era giovane, ma aveva le idee chiare.
Alto Volta per i burkinabè non significa nulla, al massimo ricorda una crudele e lunga occupazione da parte dello straniero. Sankara cambiò il nome al suo paese, quindi divenne il primo presidente del Burkina Faso ovvero “Paese degli uomini integri”. La politica di Sankara era rivolta alla ricerca della massima felicità e delle migliori condizioni di vita possibili per il suo popolo e per tutto il suo continente. Il coraggio delle sue opinioni e delle sue parole venne sempre confermato dalle scelte concrete e dai provvedimenti reali che mise in campo.
Attivo coinvolgimento delle donne nella gestione del Paese, lotta contro l’AIDS e la pratica dell’infibulazione, cessazione di ogni privilegio della classe politica, serio progetto di sviluppo riguardante i trasporti e la gestione dell’acqua. Sankara voleva essere povero come il suo popolo e lo fu davvero, ma anche dare un esempio di profonda dignità umana, lottando per un’Africa libera dal razzismo e dal bisogno.
Si scagliò contro il Sudafrica dell’apartheid e contro il nuovo colonialismo determinato dall’imposizione del debito. Sankara nei suoi discorsi sembrava presagire il pericolo insito nel sistema economico occidentale, con tutti i suoi sforzi chiese ai paesi africani di unirsi, in una sola voce, per chiedere la cancellazione del debito. Non venne ascoltato ma, con i soldi recuperati dalla lotta alla corruzione e agli sperperi dei burocrati, riuscì a garantire due pasti al giorno e dieci litri d’acqua per ogni suo cittadino.
Venne ucciso, Sankara, durante un colpo di Stato. Paradossalmente una fine comune, in quel momento storico e in quei luoghi, per un uomo invece straordinariamente davanti alla storia, un vero e proprio “uomo postumo”. Fu Blaise Compaorè, suo migliore amico e braccio destro, a sparargli. Armò la sua mano una volontà internazionale la cui priorità era tutelare gli interessi di Stati Uniti e Francia. Ancora oggi quest’ultimo è il presidente del Burkina Faso.
Il Burkina di Sankara non ha mai preso il volo, il suo sogno di libertà dava troppo fastidio agli equilibri della regione, il messaggio stava cominciando ad arrivare in Occidente, tutto ciò era troppo. Dopo la sua morte, il Burkina Faso tornò ad essere uno dei paesi più poveri del mondo, avamposto della Francia contro l’Africa che resiste. Questa però è un’altra storia.
Per saperne di più
Sankara – “… e quel giorno uccisero la felicità”
Speitkamp Winfried – Breve storia dell’Africa
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