Dilemmi di sinistra
Bersani, la ricerca delle intese e lo scetticismo interno al Pd
di Samuele Sassu
Qualche mese fa, durante le primarie, si immaginavano ben altri scenari. Il Pd favoritissimo, Berlusconi in grave difficoltà, Grillo populista poco credibile, la strada per governare il Paese appariva spianata. L’accomodamento seguente che ha contraddistinto la campagna elettorale del centrosinistra ha sancito un esito ben diverso, con il quale il Pd fatica a confrontarsi, rischiando di incorrere nuovamente nell’autolesionismo che, questa volta, potrebbe perfino sancirne il definitivo crollo.
Tra le varie ipotesi che si rincorrono, dal Largo del Nazareno emerge un secco no al governissimo. Non tanto per la dura convivenza tra Pd e Movimento 5 Stelle. Questo sarebbe certamente il male minore. A spaventare i democratici è piuttosto l’eventuale abbraccio con il cavaliere che, secondo Bersani, “distruggerebbe il partito”. Il segretario invita Berlusconi a riposare un po’. Sel è dello stesso parere: mai col Pdl.
Bersani invoca un governo di combattimento, con un programma che presenti una serie di cambiamenti sui quali dovrà convergere anche il Movimento 5 Stelle. Bersani mette sul tavolo 5 punti: le riforme istituzionali e quella della politica, con il conseguente taglio dei parlamentari; la moralità pubblica; la difesa dei ceti più colpiti dalla crisi; la nuova politica europea in materia di lavoro.
Il piano del segretario consiste nel presentare a Napolitano una piattaforma programmatica in cui emergono questi punti chiave, insistendo soprattutto su alcuni di essi: per esempio, la proposta di una nuova politica europea non orientata solamente al rigore e all’austerità; la necessità di combattere il grave disagio sociale cresciuto in maniera esponenziale in questi anni; l’obbligo di intervenire in maniera diretta sull’attuale democrazia, dimezzando il numero e lo stipendio dei parlamentari, inserendo nuove regole per il finanziamento pubblico dei partiti e le norme anti-corruzione.
E lui, il buon segretario, si propone come presidente del Consiglio. Poco importa che Grillo lo etichetti come “morto che cammina”. Bersani lo attende in Parlamento, dove gli insulti dovranno essere sostituiti da fatti e proposte serie. Questo anche perché, ormai è chiaro a tutti (perfino a D’Alema), se non si governa con Grillo, si torna alle elezioni già a giugno. Come sempre, resta la condizione necessaria di non mettere in piedi un esecutivo insieme a Berlusconi.
Secondo alcuni rumors, oltre ai parlamentari del movimento di Monti, un discreto gruppo di grillini sarebbe pronto a sostenere un suo governo guidato proprio dal segretario democratico. In tanti, però, non ci credono e il buon Pier Luigi deve ora confrontarsi con una parte del Pd che non lo segue più, che lo considera non più adatto a guidare il partito e, soprattutto, a formare una maggioranza nel contesto politico attuale.
Tra gli scettici, Massimo D’Alema. Colui che, appena escluso dal Parlamento, attende col cappello in mano una bella poltroncina governativa, mette in guardia il centrosinistra soprattutto sull’affidabilità del Movimento 5 Stelle. Tanto da arrivare a proporre (e subito dopo a smentire) un’eventuale intesa col Pdl, al quale – parola di Massimo – “si potrebbe proporre la Presidenza del Senato”. Una grande idea, specialmente per un prontissimo Silvio Berlusconi, che potrebbe contare su qualche altro anno di immunità come seconda carica dello Stato e salutare così i processi a carico.
Scettico anche Matteo Renzi che incita il Pd a mostrare maggiore “verve”, pur senza intralciare l’operato di Bersani. Non sarebbe certo lui a proporsi come salvatore della patria, anche se ciò venisse annunciato dai vertici del partito: “Io non mi farò mai cooptare dal partito. Manco morto!”. Renzi attende l’esito delle consultazioni con Napolitano, perché se da esse emergesse la possibilità di mettere in piedi una grande coalizione con Pd e M5S e la collaborazione di Berlusconi, il “rottamatore” potrebbe anche accettare il ruolo di Presidente del Consiglio. Lo scopo di questo eventuale governo dovrebbe essere l’avviamento delle tante riforme da fare.
Renzi elenca anche i gravissimi errori che hanno rovinato il Pd in questa tornata elettorale, riferendosi a tutte le volte in cui è stato etichettato come un demagogo, anche da tanti esponenti del suo partito, per aver spinto sulla necessità di dimezzare i parlamentari e azzerare il finanziamento pubblico. “Era l’unico modo – spiega – per sgonfiare Grillo”. Altra defaillance clamorosa, il respingimento della gente accorsa ai seggi delle primarie, per la preventiva decisione di far votare soltanto i militanti: “Con che faccia potevamo poi chiedere a queste persone cacciate di andare a votare alle politiche per noi?”.
Infine, Renzi consiglia a Bersani di non incorrere nel ricatto di Grillo: “Trovo sbagliato e dannoso inseguirlo sul suo terreno, quello delle dichiarazioni ad effetto. Tanto lui cambia idea su tutto, la storia di questi ultimi 30 anni lo dimostra”. Ecco perché, secondo il sindaco fiorentino, Grillo non va rincorso, va sfidato. “La priorità è rimettersi in sintonia con gli italiani, non giocare al compro-baratto e vendo dei seggi grillini”. Osservazione scontata, se non si trattasse del Pd.
(fonte immagine:http://www.esserecomunisti.it/)