Land grabbing, il colonialismo del XXI secolo
La geopolitica lo definisce “espropriazione forzata di beni agricoli”. La società civile mondiale può chiamarla più correttamente truffa
di Martina Martelloni
La distribuzione delle risorse nel Mondo, si sa, non conosce democrazia. E così ci ritroviamo a schernire il mappamondo secondo linee anarchiche, che non seguono rigor di logica. Dividiamo scenari geografici immensi con altrettanto immense risorse coltivabili e potenziali da distese desertiche di un’aridità tale che non sa quante sfumature, il verde, è in grado di creare.
Caso o destino vuole, che i più bei spettacoli naturali e distese prolifere si trovino in quei Paesi che comunemente dall’alto conseguono chiamare Sud della Terra. I tempi scorrono rapidi e con loro cresce inesorabilmente la richiesta, l’esigenza, il bisogno di nuove e continue soddisfazioni di beni. Non sempre la domanda trova risposta e così grandi potenze mondiali fiutano in altre terre il vento della produttività e della speculazione. Il land grabbing è una vera e propria espropriazione forzata di beni agricoli.
Il comune denominatore che spinge l’Arabia Saudita, piuttosto che la Cina o ancora la Corea del Sud, e tanti altri ‘macigni’ mondiali, ad impossessarsi di terre altrui, è palesemente l’ossessiva crescente richiesta di risorse primarie ed energetiche per un altrettanto aumento della popolazione mondiale. Considerata da molti come la versione moderna del colonialismo, il land grabbing spesse volte, tantissime, è frutto di una decisione governativa.
Con pochi soldi è facile, rapido ed efficace impossessarsi di terreni fertili in nazioni che fanno della loro fertilità l’unica ricchezza di vanto, la maggior parte delle volte sacrificata per l’enorme instabilità e caos politico e sociale interno. Prede appetibili dunque, per i grandi investitori mondiali che con poche monete mettono le mani sulla terra di altri per anni ed anni, senza conoscerne diritti e doveri.
Degenerazione del fenomeno si verifica ogni qual volta le banche mondiali effettuano speculazioni finanziarie su questi terreni agricoli acquistandoli con la consapevolezza, ferma e sognante, che con il ticchettio del tempo, tra 5, 10, 20 anni quella terra varrà cifre esorbitanti. I beni rari valgono e questo è motivo di corsa alla risorsa.
Tra le principali conseguenze drammatiche e disastrose della truffa di terra, l’incostanza e l’indifferenza dei Paesi acquirenti porta alla lacerazione del terreno. Nessuno lo coltiva, per anni il suo nuovo proprietario non se ne prende cura diminuendo drasticamente la produzione di beni potenzialmente coltivabili e, economia insegna, cresce il prezzo di quegli stessi beni nel mercato.
I poteri celano i loro interessi, e dietro i tentativi di compravendita oltre confine, si incastrano disegni politici e finanziari dalla inquietante portata. Caso scuola: l’Etiopia. Tra i cinque Paesi più poveri al Mondo, questa terra è ricca e proficua di risorse, ma una ne è regina: l’acqua.
Ebbene, l’interesse mondiale di land grabbing sull’Etiopia sta lievitando gradualmente. I Paesi del Golfo in particolar modo scrutano queste terre con fare sospetto e interessato. Questo manto di terra fertile africano, sta perdendo gran parte dei suoi terreni proprio a causa del land grabbing, a prezzi stracciati, si dimezza l’Etiopia.
Tutto questo fa gola anche ai governi locali, che si sbarazzano di ettari ed ettari di terreno, guadagnandoci quella misera cifra che un minimo sazia la loro fame, ingenuamente o razionalmente disinteressandosi delle condizioni future di quel manto marrone venduto ad altri pur di cercare riparo alla pioggia di sassi interna dovuta a crisi sociali e politiche.
L’inesistenza di uno Stato, che controlli, che vigili, che sostenga la sua sovranità, popolazione e territorio, è quella fragilità che apre le porte ai compratori del Mondo e che decidono sul futuro Mondo.