Una speranza per il morbo di Chagas
La sperimentazione dell’E1224 in Sud America dà ottimi risultati ma c’è bisogno dell’intervento di governi e farmaceutiche per non dimenticare milioni di persone
di Sara Gullace
Si dice che la morte non guardi in faccia nessuno, per dire che, alla fine, siamo tutti uguali, ricchi e poveri. Ma non è esattamente così: anzi, non è così proprio per nulla. Se sei povero, vivi in condizioni dove è più facile ammalarsi e, soprattutto, più difficile guarire.
Una cosa però è vera: non è la malattia in sé, a fare la differenza tra chi colpire e chi no, ma siamo noi, è l’uomo, che discrimina, che sceglie dove, come e chi curare. Sulla base di cosa? Dell’interesse economico.
Critica è la situazione delle popolazioni che vivono in zone del mondo non urbanizzate e, di fatto, meno raggiungibili. Qui è più facile il sorgere e proliferare di malattie che finiscono spesso per diventare endemiche di un territorio. La poca visibilità delle persone che ne sono colpite finisce per rendere invisibile la malattia stessa che diventa, così, una malattia dimenticata.
Come è possibile che ciò avvenga? Dicevamo dell’interesse economico. Le responsabilità possono ripartirsi tra case farmaceutiche e governi. Le prime sono meno interessate alla creazione di nuovi farmaci per le popolazioni più povere perché non rappresentano un mercato redditizio. I governi non danno abbastanza sostegno alla sanità ed al finanziamento di test e cure adducendo come causa la mancanza di mezzi e risorse. Un gatto che si morde la coda.
La coscienza di alcuni istituti di ricerca e di organizzazioni mediche internazionali, stimolata dalla maggiore visibilità delle malattie dovuta ai fenomeni di immigrazione, ha fatto si che, da qualche anno, si lavori per affrontare le cosiddette malattie tropicali dimenticate.
Tra queste, una delle più mortali è la malattia di Chagas (da Carlos Chagas, che la diagnosticò in Brasile nel 1909). Trasmessa all’uomo da insetti alati che si nutrono di sangue umano, come le zanzare, e che proliferano in ambienti malsani, come le baracche di fango e le capanne umide del Sud America, dove, annualmente, colpisce dallo 0,2 al 15% della popolazione, con oltre 10mila morti annue.
Il Chagas è un morbo silente: dopo la puntura indolore, se infetta, possono trascorrere diversi anni prima che si manifestino i sintomi a carico di cuore, apparato gastrointestinale e neurologico. Si trasmette con trasfusioni, donazione di organi e in gravidanza. Se la causa non viene diagnostica per tempo, la malattia cronicizza, il malato muore e, nel frattempo, ha contagiato altre persone. Eppure questo disastro potrebbe essere evitato: con la prevenzione e lo sviluppo di nuovi farmaci.
Su questo fronte sta lavorando molto la Coalición Mundial para la Enfermedad de Chagas, organizzata da Iniciativa Medicamentos para Enfermedades Olvidadas in collaborazione con Insituto de Salud Global di Barcellona, Instituto Carlos Slim de la Salud, il Sabin Vaccine Institute e la Fundación Mundo Sano.
L’obiettivo, dichiarato durante la conferenza internazionale di New York dello scorso dicembre, è quello di incrementare ricerca, sviluppo e tecnologie mediche per debellare il Chagas nei prossimi 8 anni. In questo senso, il farmaco E1224 dà molta speranza: sperimentato in Bolivia (dove il tasso di malattia è più alto) dall’IS Global a partire dal 2009, ad oggi si è dimostrato efficace contro il parassita.
La somministrazione, orale, è più facile, il prezzo più accessibile e gli effetti collaterali meno importanti rispetto ai medicamenti precedenti. Se la sperimentazione, prevista per tutto l’anno in corso, dovesse dare buon esito, l’E1224 potrebbe davvero essere risolutivo. Ma il Chagas non si debellerà solo con il farmaco: è necessario bonificare interi territori, promuovere l’accessibilità delle cure e fare prevenzione laddove la malattia è ‘importata’ attraverso le migrazioni.
Australia, Canada, Stati Uniti e Spagna sono i Paesi che accolgono il maggior numero di immigranti latini ma anche l‘Italia, con i suoi 3 milioni di regolari ed un tasso di sudamericani in crescita. Il nostro Paese sta diventando sensibile al problema: lo scorso giugno la regione Toscana ha approvato un progetto di screening fetale gratuito per le immigrate sudamericane mentre la onlus Oikos di Bergamo dal 2010 collabora con l’equipe di Medici senza Frontiere dell’Ospedale di Negrar per effettuare test e somministrare il trattamento: ad oggi sono stati individuati 200 casi, molti asintomatici.
C’è molto da lavorare, in termini di sviluppo scientifico come di sensibilizzazione: “Si può superare l’oblio e salvare milioni vite, ma c’è bisogno della volontà politica di finanziare i progetti e sviluppare strumenti adeguati”, ha spiegato nel rapporto annuale Unni Karunakara, Presidente internazionale di MSF.
Per gli immigrati in zone urbanizzate è sicuramente più facile essere coinvolti e trovare strutture di appoggio, il vero passo avanti verrà fatto quando ci si muoverà per raggiungere le persone nei territori più sperduti del mondo.
Per saperne di più
medicisenzafrontiere.it
oikos-bergamo.org