Abbandonatevi al tempo con i Beach House
Ieri, al Piper Club di Roma. In centinaia sotto al palco, catturati dal duo di Baltimora
di Valentina Palermi
“I ragazzi che si amano si baciano in piedi/Contro le porte della notte”. Ma sono anche qui, ad ascoltare i Beach House, ai piedi del palco, per la data romana promossa da DNA concerti e AUSGANG. Il dubbio sta nel guardarsi negli occhi, oppure lasciarsi ipnotizzare dalle luci del Piper Club e dalla voce di Victoria Legrand.
In questa piovosa serata romana torna in mente la poesia di Jacques Prévert. Ma vengo subito “riportata indietro” da un sole luminoso di mezzogiorno che risveglia i letargici abitanti della casa sul mare. La luce sembra cogliere sulla veranda la cantante, in compagnia di Alex Scally (chitarra) e Daniel Franz (batteria). Victoria ne amplifica il bagliore, vestita di una morbida giacca di lustrini.
Cominciano a presentare il loro ultimo album “Bloom”, proponendo tra i primi brani “Lazuli”, ma allo stesso tempo facendo un salto nel passato con “Silver Soul” e “Norway”, tratti da Teen Dreams (del 2008). La voce malinconica del duo, paragonato per sonorità e testi ai Galaxie 500, a Françoise Hardy e ai The Kills, si fa intrigante ed avvolgente nel timbro, sciogliendo di tanto in tanto l’incantesimo pronunciando timidamente “Come va? Bene?”.
Un gioco teatrale di scene, e repentinamente sembra cambi la scenografia. Ora raggi caldi, porpurei come il tramonto, entrano dalle persiane chiuse, accecando il volto della ragazza. I suoi capelli rossi, scossi e caricati di riverberi di fuoco. “Ma i ragazzi che si amano/Non ci sono per nessuno/Ed è la loro ombra soltanto/Che trema nella notte”, così come Alex, romanticamente al suo lato, sotto un manto di stelle che fanno capolino nel cielo, proprio dietro il loro nido.
L’oscurità viene squarciata da quella che sembra un’aurora boreale, che movimenti lenti del braccio di Victoria sembrano voler cancellare via, riempiendo la parete alle loro spalle di riflessi di cristallinei prismi. Lì dove si stagliano verso l’alto strane e geometriche architetture, dalle quali cadono dei fili. Sembrano melodiose arpe, o le navate di quello che appare come un santuario dell’amore. Anzi no, è semplicemente la pioggia che riga i vetri della Beach House, mentre passa “The Hours”, lavando via la perdita dell’innocenza e la morte, nascondendo le lacrime dei protagonisti dell’intensa, violenta, e triste storia di “Wild”.
L’organetto vintage celebra il momento, accompagnato dal battito del cuore e dai synthetici astri pulsanti e luccicanti. Veniamo anestetizzati dalle atmosfere di “Wishes” e dal passato successo di “Take care”, attoniti di fronte alla Via Lattea che quasi prende spazio sul soffitto del Piper e all’eterea figura della Legrand che ringrazia con un “Thank you very much! Grazie mille!”. Lampi e fiamme colpiscono i suoi occhi, celati soavemente da un ciuffo che resta lì fermo quando lei troneggia sulla tastiera “Myth”, e come un “Troublemaker” alleggerisce gli umori e lascia intravedere qualche sguardo quando si abbandona, fiaccata e scompigliata dalle melodie di “10 mile stereo” e dagli acuti che raggiungono ogni angolo della “casa”.
“Essi sono altrove molto più lontano della notte/Molto più in alto del giorno/Nell’abbagliante splendore del loro primo amore”. Mi piace pensare Alex, Daniel e Victoria siano quasi persuasi di non trovarsi davanti a centinaia di persone, ma nell’intimità del loro rifugio davanti a qualche amico curioso e un po’ voyeur, quando al termine suonano “Irene”. Ma lui si alza, e sotto quegli stessi raggi di un sole allo zenith lascia correre velocissimo la sua mano sulle corde della chitarra, facendo esplodere la luce, lasciando aperto il suono.
Per lasciarci nuovamente abbandonati, a ricordare di un sogno sfocato. Stavolta soli.
Una risposta
[…] i confini della città, organizzando comunque tour e spettacoli delle band in programma e non (xx e Beach House tra i nomi). Ma dal 22 al 26 maggio, questo festival urbano ha mantenuto fede alla sua missione di […]