El Salvador sfila in passerella
All’Auditorium Santa Chiara, sfilate e concerti per beneficienza
di Giorgia Braico
Domenica 10 marzo 2013, presso l’Auditorium Santa Chiara di Roma, è stata presentata la Sfilata di moda per El Salvador, un’iniziativa di beneficienza al fine di raccogliere fondi per la comunità salvadoregna di Roma.
L’evento, terza parte di un progetto benefico più ampio, ha visto tra le varie fasi della sfilata anche l’esibizione live di musicisti e gruppi di El Salvador, la mostra di alcune opere del pittore italiano Marco Mariani, una riffa con in palio un dono firmato dalla stilista Sabriani Attiani, ed un filmato documentario che illustra tutto il lavoro e la storia dietro l’intero progetto.
Ghigliottina, prima dell’evento, ha incontrato gli organizzatori: José Aldemaro Papa e la stilista Sabrina Attiani, attiva da diversi anni sulle passerelle italiane e autrice del Cerchio, il suo capo più famoso e versatile, divenuto ormai un marchio, presente in sua sfilata.
Parlateci di questo importante progetto di beneficienza che state seguendo.
J.P: Il progetto è nato anzitutto all’ultima riunione della comunità salvadoregna per il giorno della festa dell’Indipendenza, il 15 settembre, nella quale ho visto che la comunità era diminuita parecchio; al che qualcuno mi disse di farmi venire un’idea per riunire tutta la comunità di Roma. Così mi venne l’idea di una sfilata a diversi livelli, nel senso che dovevamo impostarla su tre tappe: la prima era praticamente una riunione di vecchi amici intimi che avrebbero poi alla fine aiutato la realizzazione della sfilata, e l’ho chiamata la “Sopa De Pata” (ci siamo riuniti proprio per assaggiare una Sopa de Pata, un piatto di El Salvador).
Il secondo era per la proiezione di un film su El Salvador, La Vida Loca di Christian Poveda, con il quale dovevamo raccogliere soldi sempre a favore della comunità di El Salvador, e che sarebbero serviti come finanziamento per la sfilata finale. Tappa intermedia, la scelta delle modelle: sotto Natale le ragazze c’erano, ed erano pure tutte quelle di cui avevamo bisogno, ma mancava il luogo.
All’inizio, siccome avevamo l’appoggio delle ambasciate di El Salvador per il governo italiano e la Santa Sede, loro mi avevano garantito l’Istituto Latino Americano; invece non è stato così, alla fine era soltanto un appoggio diciamo così “ideologico”, e quindi presi in considerazione il teatro Auditorium Santa Chiara, il quale era disposto a tenere la rappresentazione.
Quindi ci occupammo di far conoscere la sfilata in via mediatica, tramite le radio e le tv: qualcuno ci rispose, qualcuno no. Poi decidemmo di pubblicare l’annuncio anche su facebook, youtube, twitter e alcune pagine ufficiali come quella della Santa Sede e una pagina del giornale di El Salvador, il quale pubblicherà l’annuncio il giorno di uscita della sfilata. E questa è stata una delle grosse conquiste perché siamo riusciti senza muoverci a collegare El Salvador con l’Italia e con questo evento.
Come mai avete scelto proprio una sfilata di moda?
J.P.: Perché far interessare i giovani a qualche cosa è molto difficile, soprattutto le ragazze, e diciamo che l’argomento che le interessa di più sono i vestiti, sono molto attratte.
S.A.: Sono tanti anni che faccio sfilate, e sicuramente è di molta attrazione. Il sogno di ogni donna, piccola o grande, è quella di fare una passerella, una sfilata. Perciò per lo scopo benefico, umanitario, è sicuramente la soluzione che richiamava più gente; perché poi le ragazze portano amici, parenti. Insomma per loro era un’aggregazione molto forte e allora abbiamo pensato di fare quest’abbinamento.
Sabrina Attiani, come ha incontrato questa inziativa, com’è nata questa collaborazione?
S.A.: Siamo compagni di capoeira, perciò ci alleniamo insieme. Io sono stilista di moda da tantissimi anni, ho un’azienda di moda, e parlando appunto di questo evento è uscita fuori. Lui aveva in mente di fare una sfilata, ne abbiamo parlato, ci siamo messi d’accordo e ci siamo mossi.
Le ragazze sono tutte salvadoregne, perciò non sono modelle professioniste, sono ragazze comuni, sono di stature diverse, la modella classica ha una misura standard. Però abbiamo fatto le prove allo showroom domenica scorsa e sinceramente sono molto contenta perché poi sono state molto brave e attente a seguire tutte le mie indicazioni. Si è percepita proprio la gioia, ancora di più di una sfilata tradizionale per professione, per soldi, quello è un lavoro, per loro è puro piacere.
Il suo capo più famoso è Il Cerchio. Sarà presente anche in questa sfilata?
S.A.: Sì, perché questo è un brevetto, è un capo di moda, versatile, che si mette in vari modi. Infatti in tutte le mie sfilate il simbolo delle collezioni è il Cerchio, e anche in questa le ragazze sfileranno con gli abiti con indosso il Cerchio nei vari tessuti; e poi ci sarà anche proprio una presentazione di una delle ragazze che abbiamo scelto come “la ragazza del Cerchio”, che indosserà il Cerchio telo da mare, perché è un telo da mare tondo di spugna, che diventa accappatoio, pareo, si mette in diciassette modi diversi. È interessante specialmente in passerella perché è molto scenografico, dà molto movimento, ed è qualcosa di molto particolare che anche loro hanno apprezzato.
Dopo questa, ci saranno altre iniziative?
J.P.: E’ quello che spero, nel senso che questa non è la fine ma l’inizio. Io di idee ne ho, però vorrei che le idee adesso venissero dai ragazzi più giovani di me, e che con questa iniziativa avranno un appoggio sostanzioso per crearne di altri, di questo tipo di eventi o altre idee.
S.A.: Che non rimanga un evento fine a sé stesso, ma che sia proprio l’inizio di altri eventi, sia sul genere ma anche con interventi di altre forme artistiche. Perché in questo caso domenica ci sarà la moda, poi ci sono dei cantanti di musica live, c’è un artista pittore che espone le sue opere. Perciò si crea una cosa a cui io ho sempre creduto: l’unione creativa. L’ho già fatto ed è una cosa molto bella, anche a livello umanitario, si unisce quella “creatività di diversi”, che crea un’energia molto forte e le persone che assistono la ricevono. Dà molta gioia, perciò spero che sia l’inizio di altre iniziative sempre con unione creativa, in cui ognuno dà il meglio di sé.
La comunità salvadoregna, quanto è presente a Roma?
J.P.: Sono 2200, secondo gli ultimi calcoli fatti dall’ambasciata di El Salvador; di questi, però, poche comunità si conoscono. C’è il gruppo del calcio, il gruppo della chiesa, poi altri gruppetti sparsi qua e là, ma niente è riuscito a creare un punto in comune. Diciamo che generalmente ci sono tre incontri annuali, per le feste, a cui partecipano, però rimane tutto lì.
Quello che manca, secondo me, è trovare un centro al “tutto”. Perché in realtà, un’altra cosa importante di questo evento è stanno partecipando tutti, “inconsciamente”; quindi alla fine senza volerlo, siamo riusciti diciamo a riunirli.
Come mai c’è questo bisogno di iniziative di beneficienza. Le istituzioni italiane non si occupano abbastanza della comunità salvadoregna?
J.P.: Devo dire che c’è un momento di crisi, i soldi non ci sono, El Salvador è uno dei paesi più piccoli del Sud America e ovviamente in proporzione è quello che riceve meno e ha meno visibilità. Infatti, quando ci sono gli incontri delle varie comunità di tutte le nazionalità, quella di El Salvador quasi sempre manca, non c’è un rappresentante; non c’è un’unica razza, ce ne sono una marea e gli originali indigeni di El Salvador sono il 3% dell’intera nazione, che è pochissimo; c’è una mescolanza incredibile che crea diversi modi di pensare anche tra una regione e l’altra.
Quando vengono qui, all’inizio c’è lo spirito di conoscenza, tra compatrioti, poi si litiga e si rompe il rapporto. Credo che ci sia molta incomprensione. Diciamo che i problemi fondamentali di El Salvador sono La Mara (una gang criminale, ndr.), e l’alcol. Lì è più grave, perché c’è la povertà che aggrava il malessere generale della gente, ed è facile cadere nell’alcol.
Diciamo che a una certa età, tipo la mia, dai 30 in su, incominciano ad aprire la mente e vedono cosa c’è di sbagliato nella loro vita, perché vedono il loro malessere che non è cambiato, che sta peggio. Qualcuno si converte alla religione e comincia a farsi una nuova vita, però chi non si aggrappa alla religione…
Tornando a queste iniziative, quindi, uno dei traguardi che sperate di raggiungere è anche una certa coesione di tutti i gruppi della comunità.
J.P.: Esatto, una coesione, di riunirli tutti, creando un’idea unica che li riesca a interessare, perché il problema è quello, interessarli.
S.A.: Credo anche un sostegno unico proprio per El Salvador, per tutte queste problematiche che loro hanno e che non sanno come risolvere. Allora, magari, da quest’altra parte, tutti gli altri che sono andati via, se c’è una coesione, se c’è un’unione, parlando la stessa lingua credo possano avere anche un’influenza, sia nel paese stesso ma anche qui in Italia, come rappresentanza.
J.P.: Devo dire che in questa circostanza sono usciti dei talenti veri. Le ragazze, si vede che hanno qualcosa da dire, qualcosa da raccontare. È un’occasione per esprimersi. Le ragazze, alcune anche minorenni, se riusciamo a farle crescere, a farle interessare ancora di più non solo a questa iniziativa ma anche ad altre, ne viene qualcosa di buono.
S.A.: Proprio una motivazione di crescita, di vita, che è importante perché queste ragazze di cui sta parlando José sono le stesse ragazze che si trovano lì e stanno facendo un’altra vita. Loro sono qui perché i genitori sono andati via e le stanno facendo crescere in un altro paese, non con quelle problematiche. È una cosa molto importante.