Gabriele Lavia in “La trappola” di Pirandello
L’attore e regista porta in scena “la novella più filosofica, amara e disperata dell’autore agrigentino”
di Francesca Britti
Nel 1912 Pirandello scrisse l’opera La trappola il cui titolo già ci lascia immaginare la storia di un uomo sofferente perché non libero, intrappolato appunto.
Cent’anni dopo circa l’opera arriva in uno dei teatri più antichi di Roma, il maestoso Teatro Argentina. Riadattata da Gabriele Lavia, in doppia veste di regista e attore, il testo dell’autore agrigentino esalta (in senso negativo) i dilemmi dell’essere umano. Se Shakespeare diceva “essere o non essere? questo è il problema” per Pirandello il dilemma è “vivere o morire?”.
C’è un uomo solo, Fabrizio, che vaga tra le sue librerie piene di libri di filosofia, Nietzsche, Schopenhauer, Platone, Aristotele e tra i suoi armadi, occupati da vestiti che danno forma al corpo. La forma, quell’elemento che definisce e intrappola il corpo, odiata da quest’uomo solo. Anche la forma è una trappola e fa perdere quel senso di libertà tanto agognato, che forse solo la morte può dare. “Ogni forma è morte” recita Pirandello-Lavia.
È come se, quindi, la vera vita sia la morte. Quel senso di immobilità e di restrizione a cui cediamo nella nostra quotidianità, quel dare senso e forma a tutto ciò che viviamo e sentiamo ci intrappola facendoci sembrare dei morti che camminano. Così recita Lavia: “La vita è una recita di morti, la vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco, non la terra che si incrosta e assume forma. Ogni forma è la morte. Una donna-trappola entra nella vita dell’uomo solo“.
La donna, una delle fonti, se non addirittura la principale, di sofferenza secondo Pirandello. È nel suo mettere al mondo un bambino, farlo cadere nella trappola fino a quando a 70 anni, come il padre dell’uomo solo, mangia imboccato, espelle i bisogni corporali come i bambini piccoli e piange, “piange senza un apparente ragione, piange perchè è nato ed è nato per la morte“.
Le donne sono, quindi, i diavoli tentatori che spingono l’uomo a riprodursi e creare altri esseri infelici, che finiranno in trappola. La rabbia di Fabrizio è generata da un odio interiore per i suoi genitori che l’hanno destinato all’infelicità: “siamo tanti morti affaccendati che c’illudiamo di fabbricarci la vita… ci accoppiamo, un morto e una morta, e crediamo di dar la vita, e diamo la morte… un altro essere in trappola“.
Gli oggetti, le persone, i sentimenti, le ideologie sono tutti delle trappole e l’unica via d’uscita, la liberazione è la morte, la vera vita secondo Pirandello. Un pessimismo profondo e radicale che sfocia in una decisione estrema rappresentata nel riadattamento di Lavia, ossia l’uccisione del padre, dell’uomo solo e infelice che ha generato un altro uomo solo e infelice. Uno sparo, poi il buio della scena. Quel buio che è sole, diceva Nietzsche o come recita Pirandello “solo nel buio si vede la verità”.
“La Trappola” di Luigi Pirandello
adattamento e regia Gabriele Lavia
con Gabriele Lavia, Giovanna Guida e Riccardo Monitillo
Roma, Teatro Argentina, Largo di Torre Argentina 52
Info Tel. 06 684 00 03 11 / 14