Il vento dall’Est
L’Unione Europea fatica nel vantare rispetto e ammirazione in quelle terre del Vecchio Continente straboccanti di storie tormentate e mosaici di culture e religioni
di Martina Martelloni
Il vento che soffia dall’Est dell’Europa si fa denso di polvere e carico di spighe. Paesi dalle svariate dimensioni e dai mosaici di tradizioni faticano ad urlare al mondo il loro posto nel Vecchio Continente. Prima dominati dalle armate rosse, poi finalmente libere dopo anni di guerre intestine sporcate dai più scellerati crimini contro l’umanità. Nel pieno della crisi economica internazionale, si alzano nell’aria voci contrapposte, una dal sapore europeo e l’altra dal gusto nazionalista.
La Repubblica Ceca, Paese racchiuso in una morsa territoriale senza sbocco sul mare, Paese dalla tormentata storia decisa il più delle volte dagli altri e poche volte da sé. Dilemmi interni rispetto al suo affacciarsi nell’Eurozona, sono vicini al chiarimento dopo la fine del mandato del presidente Vàclav Klaus avvenuto lo scorso 7 marzo. Nella sua valigia porta con sè gran parte di quell’euroscetticismo che per anni ha navigato nella viscere del governo ceco vedendo in lui il leader dell’avversità all’integrazione.
Paure, timori, titubanze che per dieci anni il presidente Klaus ha nutrito nei confronti di un Europa che lievitava costantemente, non solo istituzioni decisionali ma ora anche e soprattutto idee, mentalità, senso di appartenenza, ideologia. Il principale leader del partito liberal conservatore Ods, non ha mai potuto abbracciare questo sangue europeo da laboratorio.
I tempi passano e lasciano dietro di sé molto di ciò che è stato e di ciò che si è creduto. Ora al vertice del governo della Repubblica Ceca siede il nuovo Capo di Stato Miloš Zeman. Quest’uomo imponente di 68 anni è l’esponente del Partito Social Democratico e sin dal primo giorno del suo insediamento ha volto lo sguardo all’Unione dichiarando l’intenzione di introdurre la valuta europea nel Paese.
I conti a fine pasto, non esitano a reclamare, ed infatti il neo-presidente non può volgere le spalle alla maggioranza della popolazione che ad oggi non gradisce l’entrata dell’euro in un periodo come questo, dove i problemi economici e finanziari dell’Europa non stentano a placarsi.
Altro vento carico di diffidenza si solleva dall’Ungheria di Viktor Orbàn. Questa volta a provare paura è l’Europa stessa di fronte al tentativo del presidente ungherese di amputare il sistema democratico vigente ma barcollante. In questi giorni il Parlamento di Budapest ha posto il suo timbro d’approvazione sulle modifiche costituzionali proposte dal governo. Revisioni taglienti che feriscono numerosi diritti della persona. Il boicottaggio delle forze socialiste non è bastato a porre un freno all’avanzata nazionalista. Ora diversi punti dal potere restrittivo sono scritti e stampati nella Costituzione.
Stampa e potere giudiziario da questo momento sentiranno il fiato sul collo proveniente dal controllo governativo. Studenti laureati vietati della loro libertà di movimento e viaggio all’estero per un periodo equivalente al loro percorso studi così da fortificare i confini nazionali. Continuare l’elenco con le diverse disposizioni apportate e volute da Orbàn rimarca il suo intento anti europeo e orientato al sogno di una Grande Ungheria. Espressione ed opinione personale non rientra nel piano dell’accentramento, e questo preoccupa gran parte dei Paesi membri dell’Ue affiancati dagli Stati Uniti.
Altro Paese, altro vento. La Slovenia si è dipinta di rosa con la salita al potere di Alenka Bratušek. In terra slovena il problema prima che europeo è soprattutto interno viste le difficoltà nel formare un governo di larghe intese e che invece teme una minoranza instabile e conflittuale dopo il “niet” del partito di centro Lista nazionale. La nuova massima rappresentanza Bratušek può contare sul solo appoggio dei socialdemocratici.
La ricerca di consensi politici non è certo tempo favorevole allo scorrere e progredire della crisi economica interna che vede l’ipotesi di una richiesta d’aiuto a quel fondo salva stati europeo che corre contemporaneamente alla ricerca di soluzioni sull’enorme debito miliardario del Paese.
Vento polacco che spazza via momentaneamente le monete dell’euro. In Polonia infatti, il premier liberale nonché assennato europeista Donald Tusk, vaga nel limbo del dubbio sull’entrata della moneta unica. Se da una parte è tanta la voglia e la spinta di integrazione totale, anche dunque monetaria, con quel Continente che detta rigide regole in campo economico e valutario, dall’altra è proprio la fermezza e richiesta dei vertici europei a spaventare la Polonia. Tusk sa bene che per poter interloquire, agire e collaborare totalmente e svincolatamente con i membri Ue, l’utilizzo dell’euro è certamente chiave di svolta per un paritetico trattamento nell’Unione bancaria e fruttifero export verso l’Europa.
Ci si chiede dunque, quale sia oggi il ruolo e l’atteggiamento dell’Unione Europea che con la sua rigorosa piattaforma democratica e liberale sta rischiando di perdersi in enigmatici numeri e parametri finalizzati alla riabilitazione dei suoi Paesi ma che fa ombra su realtà divaganti esistenti tendenti allo scetticismo e alla possibilità di rinunciare all’Europa come madre alla quale cedere gran parte della sovranità nazionale.
(fonte immagine: economiaepolitica.it)