Il rinnovamento e il miracolo
Grasso e Boldrini, le Camere al centrosinistra. E ora Bersani pensa al governo
di Samuele Sassu
Pietro Grasso e Laura Boldrini. Il rinnovamento del centrosinistra comincia da due delle più alte cariche dello Stato, assegnate all’ex procuratore antimafia e, per la terza volta nella storia repubblicana, a una donna. Votazioni al cardiopalma, soprattutto al Senato. Schede bianche, franchi tiratori, barricate, eppure la spunta il Pd. Forse la prima soddisfazione di Bersani da quando ha assunto la guida del partito. E ora, il segretario crede più che mai di poter mettere in piedi un governo in quel magma parlamentare che spaventa l’Europa.
Ma chi sono i nuovi eletti? Brevemente, Laura Boldrini ottiene lo scranno più alto di Montecitorio con 327 voti. Sulle orme di Nilde Iotti e Irene Pivetti, l’ex portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, cinquantadue anni, è stata eletta tra le file di Sel. L’ex procuratore antimafia, invece, ha ricevuto 137 voti: 125 voti dall’asse Pd-Sel e Autonomie e i restanti 12 dai franchi tiratori grillini.
Lui, un ex magistrato che diventa seconda carica dello Stato, in un periodo storico in cui politica e giustizia sono impegnate in una lotta meschina e a dir poco atipica per un Paese democratico. Guarda caso, l’inquirente antimafia Grasso prende il posto di un indagato per concorso in associazione mafiosa, Renato Schifani. Presunzione di innocenza a parte, una piccola svolta già sembra esserci stata.
Bersani ora crede nel miracolo: “Voglio vedere una maggioranza”. I nodi: Grillo e i centristi di Monti. I senatori del Professore, infatti, hanno votato scheda bianca. Un segnale molto positivo, secondo il Pd, perché hanno dimostrato di non cedere al corteggiamento da parte del Pdl, che ha tentato continuamente di convincerli a votare il galoppino Schifani.
Si tratta di una prima, sottilissima apertura a Bersani? Oppure soltanto il primo atto di uno “scambio” che, forse, potrebbe portare il Professore al Quirinale dopo il 15 aprile? In ogni caso, il fatto del giorno è rappresentato da quei 12 voti dei senatori grillini che hanno scritto il nome di Grasso sulla scheda. Un atto di disobbedienza clamoroso che ha mandato su tutte le furie il guru del Movimento 5 Stelle, fornendo un assist d’oro al contestatissimo Pd.
Pier Luigi Bersani ha voluto mandare a tutti un messaggio chiarissimo: basta con la vecchia guardia a oltranza, fuori candidati come Finocchiaro e Franceschini, dentro volti nuovi e di spessore. Proprio l’ex segretario, tuttavia, non si scompone. Grande escluso dalla presidenza di Montecitorio, nasconde la delusione e parla di un segnale forte di cambiamento e discontinuità: “Pietro Grasso al Senato e Laura Boldrini alla Camera è un grande messaggio a tutti i cittadini stanchi delle sole parole. Sono due personalità che arrivano dalla società civile e con due belle storie alle spalle”.
Ora si può cominciare a pensare a un governo. Bersani è consapevole di quanto Napolitano auspichi l’unità nazionale e sa anche che Re Giorgio non sarà pienamente soddisfatto di questa iniziativa del Pd. Presiedere entrambe le Camere non aiuterà di certo il Pd nel mettere in pratica quell’utopia chiamata unità nazionale. Il capo dello Stato forse chiede troppo e Bersani prova a chiarire la situazione: se non ci sarà un governo da lui presieduto, si andrà di nuovo al voto a giugno. E a novembre saranno obbligatorie le primarie, purché allargate. Come chiede da sempre Matteo Renzi.
Esclusa, secondo il leader Pd, ogni ipotesi di alleanza con Berlusconi. Mentre avverte gli interlocutori più ricercati, soprattutto dopo quanto accaduto al Senato: “I numeri dicono che il governo si può fare solo con il M5S, altrimenti non si fa. Ci dicano, perciò, se intendono dare un esecutivo al Paese o se pensano soltanto a interessi propri”. Parole sante, stavolta. I tempi del “vaffa” incondizionato e del “fuori tutti” senza iniziative concrete per il bene dell’Italia sono finiti. Certo, non secondo Grillo che, in seguito alla sfuriata contro i franchi tiratori, ammonisce: “Sulla fiducia a Gargamella non si sgarra”.
La palla ora passa al Quirinale. Enormi le responsabilità che attendono Napolitano questa settimana, quando cominceranno le consultazioni con le varie coalizioni. Bersani parla di “una strada molto stretta”, ma tuttavia praticabile. Il capo dello Stato, invece, guarda ai numeri al Senato, ossessionato da quei 160 che dovrebbero garantire la fiducia e che, tuttavia, non ci sono. Almeno venti senatori mancano all’appello.
Infine, una angosciante voce di corridoio sussurra il nome di Massimo D’Alema come probabile candidato al Colle. Fantapolitica, si spera. Perché se realmente fosse questa l’intenzione del Pd, ancora una volta l’avrebbe vinta Grillo. E allora ecco già delineato il prossimo scenario: voto a giugno, quasi certo il trionfo del Movimento Cinque Stelle, probabile recupero di Berlusconi e morte politica del Pd. L’avranno capito al Largo del Nazareno?
(fonte immagine: http://www.mondoinformazione.com)