Per un rinascimento industriale
Un report di Confindustria, R&S-Mediobanca e Unioncamere mette in luce alcune delle ragioni che stanno bloccando l’economia italiana
di Andrea Ranelletti
E’ stato pubblicato il 15 marzo scorso il rapporto “Medium-sized Enterprises in Europe”, indagine condotta da Confindustria, R&S-Mediobanca e Unioncamere sullo stato di salute delle imprese di medie dimensioni – società con un numero di impiegati compreso tra 50 e 499 e un fatturato tra i 15 e i 330 milioni di euro – in Italia, Germania, Spagna e per la prima volta Francia. Svolta in collaborazione con gli istituti EconomiX, CNRS-Université de Paris Ouest Nanterre La Défense e l’IfM di Bonn, la ricerca cerca di fare luce sulla reazione di un ganglio vitale per l’economia quale la media impresa, messa di fronte alla crisi finanziaria internazionale. La ricerca fornisce interessanti dati sul sostegno che imprese omologhe stanno ricevendo in differenti Paesi d’Europa, mettendo in evidenza quanto i singoli Stati stanno facendo per metterle al sicuro.
Il dato di maggior interesse fornito dall’analisi è quello relativo alla “ripartizione del fatturato delle Medie imprese in base al settore produttivo” diviso per Paese e quindi il “Valore aggiunto”, ovvero la ricchezza prodotta dalle singole imprese. I dati consentono di comprendere l’incidenza dei singoli rami produttivi sull’economia dello Stato. Salta agli occhi l’importanza del settore meccanico: nonostante la produzione (al 31%) sia imparagonabile rispetto ai livelli tedeschi (45%), il settore è quello più importante nell’economia italiana – bisogna però anche tener conto della produzione di “Beni per la persona e per la casa” in cui siamo i primi in Europa – e produce il 38% del Valore aggiunto.
L’indagine mette in mostra il perdurante squilibrio territoriale italiano: un 40% delle medie imprese è localizzato nel Nord-Ovest, mentre un 38% fiorisce nel Nord-Est italiano. La percentuale riservata al Centro-Sud e alle Isole è quindi minima. Nulla di nuovo, solo l’ulteriore conferma dell’insanabile distacco tra la parte economicamente più evoluta della nostra Penisola e quella che invece non è mai riuscita a colmare il gap.
Il costo del lavoro pro-capite mostra come in Italia i prezzi per addetto non siano affatto tra i più elevati: i 39.600 euro annui guadagnati dal lavoratore italiano sono di gran lunga inferiori rispetto ai 43.600 dell’addetto francese o i 46.700 di quello tedesco. Inoltre, la produttività (valore aggiunto netto per addetto) mostra come l’Italia sia in tal senso inferiore solo alla Germania: 53.300 euro contro 56.900.
Dov’è allora che l’Italia cede il passo? Sul versante fiscale, ovviamente. Se “il trattamento fiscale” in Spagna e Francia si concretizza in un tax rate al 24%, mentre in Germania è al 28%, l’Italia registra un penalizzante 38%, destinato a mettere a repentaglio la salute delle aziende, impedendo loro di investire nell’ammodernamento e nella competitività: l’investment grade tedesco è al 76%, quello spagnolo e francese è al 69%, mentre quello italiano è al 57%.
Il report conclude: “Se negli ultimi 10 anni le medie imprese italiane avessero avuto una tassazione più favorevole oggi esse avrebbero una solidità patrimoniale paragonabile a quella delle tedesche”.La fondamentale solidità delle medie imprese italiane è dunque messa in forte difficoltà da un regime fiscale oberante, che impedisce loro di trovare il necessario slancio e il dinamismo utile a ripartire. Togliere i vincoli all’impresa è il primo passo per dar nuova forza a un’economia stagnante e conoscere un nuovo rinascimento industriale.
(fonte immagine: –http://bepiccoloimprenditore.it)