Salman Rushdie e quel braccio alzato per fermare un taxi
A Libri Come. lo scrittore presenta “Joseph Anton”: un’autobiografia, un percorso di liberazione e una battaglia vinta
di Alessia Carlozzo (@acarlozzo)
Salman Rushdie non poteva che essere l’ospite perfetto per concludere la quarta edizione di Libri Come. Festa del libro e della lettura svoltasi lo scorso fine settimana a Roma.
Lo scrittore indiano naturalizzato britannico, accompagnato da Giancarlo De Cataldo e Melania Mazzucco, ha regalato alla platea dell’Auditorium Parco della Musica una lettura più intima della sua ultima opera “Joseph Anton” uscito negli scorsi mesi.
Un’autobiografia che racconta nello specifico, ma non solo, i dieci anni sotto protezione vissuti dallo scrittore. Tutto inizia il giorno di San Valentino del 1989, Rushdie viene giudicato da una fatwa di Khomeini che ne dichiara la condanna a morte per blasfemia e per quanto scritto nella sua opera “I versi satanici”.
In quel momento finisce la sua vita “normale” e ne comincia una diametralmente opposta. Rushdie ha dichiarato di aver volutamente aspettato così tanti anni, smetterà di vivere sotto copertura solo nel 1999, proprio perché voleva che la storia fosse completamente finita.
“Il libro ha un happy ending – spiega Rushdie – in parte perché sono ancora qui e ne sono lieto per me, ma anche perché noi (inteso come comunità) siamo riusciti a dimostrare in quest’occasione che le forze dell’oscurità non vincono, costringendole alla ritirata.”
“Credo che si possa leggere così la questione de I versi satanici” conclude lo scrittore.
Una storia, quella narrata da Rushdie, che inizia con la telefonata di una giornalista della BBC, quel 14 febbraio del 1989, durante la quale gli comunica la notizia della fatwa, e che termina tredici anni dopo con lui per strada che fa il gesto “quotidiano” di chiamare un taxi. Semplice e potente allo stesso tempo. L’immagine vibrante della libertà dopo anni trascorsi nascosto in luoghi sempre diversi.
La chiave dell’opera giace proprio in questa scena conclusiva. E’ un libro fortemente pervaso da un senso di liberazione, sulla rottura dalla catena della fatwa e della condizione in cui lo aveva ridotto a vivere. Uno step necessario per ricominciare un determinato percorso letterario e ritornare alla scrittura di prima. Rushdie non nasconde infatti la poca creatività che di base caratterizza ogni autobiografia: chi scrive la storia già la conosce e gran parte del lavoro è già stato fatto.
A differenza di altre però, questa si caratterizza per l’uso della terza persona a differenza del classico “Io”. La scelta, spiega, è stata prettamente legata al fatto che più scriveva in prima persona, meno gli piaceva quel suono così isolato “Io – Me”. Nel tentativo di abbattere il muro che necessariamente sarebbe sorto con il lettore, opta per una “persona” diversa, si trasforma in un lui qualunque e il libro prende finalmente forma dopo i primi indugi.
Rushdie racconta così la nascita di Joseph Anton, il suo pseudonimo sotto scorta usato da tutta l’unità di polizia addetta alla sua protezione, un chiaro omaggio agli scrittori Joseph Conrad e Anton Chekhov le cui opere le ha sentite particolarmente vicine in quegli anni. Un nuovo nome necessario per mascherarne un altro, Salman Rushdie, anch’esso in realtà legato a un’origine particolare. Salman infatti significa “pacifico” mentre Rushdie è il cognome adottato dal padre in onore del filosofo Averroè, che combatté il fanatismo religioso del XII secolo. Nomen Omen.
Un libro che vuole essere sì il racconto di una vita, ma anche e soprattutto quello di un modo di essere e stare al mondo, combattendo sotto il vessillo giusto. Una battaglia quella portata avanti da Rushdie vinta anche e soprattutto grazie al supporto di quella che definisce la rete letteraria mondiale. Colleghi che in tutto il mondo hanno fatto sentire la propria voce in difesa non solo di un singolo essere umano ma soprattutto, come riporta il libro “Bisognava difendere l’arte del romanzo, la libertà dell’immaginazione e la libertà che tutte le altre include, quella di parola e di espressione, nonché il diritto degli esseri viventi di poter circolare per le strade della propria terra madre senza aver paura.”
Un coinvolgimento globale che ha permesso alla vicenda di Rushdie di avere un vastissimo eco e di non rimanere solo durante il periodo della scorta. L’autore ha ricordato con affetto ad esempio la raccolta “Pour Rushdie” che raccoglieva commenti di cento scrittori musulmani in sua difesa. Scrittori che lavoravano e vivevano in paesi poco sicuri all’epoca quali Arabia Saudita, Marocco o Algeria, ma che hanno deciso comunque di difenderlo proprio perché consapevoli del fatto che in quel modo stavano difendendo loro stessi e il loro essere scrittori.
Una rete di solidarietà che quindi ha permesso a Rushdie probabilmente di poter essere ancora qui a raccontare la sua storia, attraverso le pagine di Joseph Anton e soprattutto di riuscire a coronare il sogno di ogni esule: tornare in patria.
Tornare al mondo dei libri, che come spiega a conclusione dell’incontro, è un paese a sé non definibile da una nazionalità o da una lingua. Non esistono frontiere, scrittori e lettori possono abitarvi liberamente e lasciarsi ispirare dallo stesso.
Citando H.L.Mencken “Il puritanesimo è l’ossessionante paura che qualcuno, da qualche parte, possa essere felice” Rushdie sottolinea come sia necessario difendere questo mondo e la dimensione correlata del piacere di vivere. Difesa che passa anche attraverso la protezione degli artisti che, al contrario dell’arte destinata ad essere eterna, sono fragili e spesso soli.
Joseph Anton si presenta perciò solo superficialmente come l’autobiografia di uno dei più autorevoli scrittori britannici viventi, ma non è altro che la storia di una battaglia, quella di Rushdie, vinta con la scelta di non tacere.
Un messaggio forte e appassionato che libera i libri (protagonisti dell’evento romano) dalla gabbia dentro la quale sono rinchiusi, per donargli una funzione fondamentale: quella attraverso la quale ogni uomo può e deve essere libero di esprimere le proprie idee, lontano dalla censura dei fanatismi religiosi, culturali o politici.
Libri Come. Libri come Libertà.