Se questa è una donna
Un’odissea umana e tutta al femminile
di Giorgia Braico
Il giornalista Luca Attanasio, autore di Se questa è una donna, riprende nel titolo il famoso romanzo di Primo Levi, per raccontare l’odissea di tre donne in fuga verso la propria libertà e dignità personale. Utilizza la forma del romanzo, per narrare quanto appreso da decine di interviste e resoconti.
Yergalum, Aminata e Shirin sono tre ragazze torturate, sottomesse, svuotate, che però hanno ancora la forza di sperare un futuro diverso, una vita diversa, ed affrontano il viaggio più drammatico e pericoloso della loro vita, pur di raggiungere questo sogno.
Yergalum, una ragazza eritrea denominata nel libro “Cinderella” (Cenerentola), perde la madre in tenera età e si ritrova in una famiglia che non la considera, che non la vuole, che la ritira presto da una scuola che lei adora, per rimanere a casa ad aiutare la matrigna, come una schiava in casa sua. Una famiglia capace di darla in moglie, appena maggiorenne, ad un uomo musulmano, per vivere ancora tra l’indifferenza e la violenza del marito, e l’odio delle altre due mogli.
Così comincia il suo viaggio, con l’aiuto di un ragazzo di cui si era innamorata, Dawit, che la aiuta economicamente ogni volta che può. La aiuta a fuggire, verso una nuova vita, purchè sia felice. La destinazione è l’Europa, ma per arrivarci Yergalum assiste e viene sottoposta alle più incredibili e terribili condizioni. Attraversa Sudan, Libia, in questi paesi viene maltrattata, violentata, persino imprigionata e torturata, dai trafficanti, dalla polizia locale fuori controllo, che ai profughi riserva un trattamento da incubo.
Alla fine riesce a giungere in Italia, dopo un’ultimo spaventoso viaggio notturno sul Mediterraneo, ma a che prezzo? È stata umiliata, maltrattata, è rimasta numerose volte in fin di vita, è segnata sul corpo e nell’anima, per sempre. Tuttavia non ha perso la speranza.
Le altre due storie del libro purtroppo sono simili nel contenuto, divergono solamente nel motivo della fuga: Aminata parte per evitare una delle tradizioni tribali più disumane del Burkina Faso, e di tanti altri paesi, cioè l’infibulazione, a cui i suoi stessi genitori sono contrari (facendola nascere apposta in Costa d’Avorio), ma che la famiglia d’origine vuole far rispettare a tutti i costi.
Aminata trova il modo di scappare e nascondersi, si porta appresso numerose sensazioni: al suo villaggio si sente umiliata, denigrata, una “non-donna”, per essersi rifiutata di sottoporsi all’infibulazione; sente disperazione, terrore, a causa degli uomini mandati dalla sua famiglia ad ucciderla; si sente anche in colpa verso sua zia che è morta per difenderla, e verso le coraggiose suore dei conventi in cui si nasconde di volta in volta, che rischiano la vita per mettere a riparo i profughi come lei, ma che le danno anche serenità e le fanno ritrovare il coraggio di lottare.
Shirin, una ragazza iraniana di 23 anni, parte con la figlioletta Nilufar, per l’ultima decisiva fuga, verso l’Italia. È in viaggio da quasi tutta la vita, da quando a 12 anni è data in sposa ad un ventenne afgano trafficante di armi e spia per i servizi segreti, che la rapisce e la porta a casa sua, nel suo paese sempre in guerra. Lì il suo “aguzzino” capisce che lei non è felice e si riscopre ad aiutarla e ad innamorarsi di lei.
Nata la bambina, e tornata a casa, Shirin, che vuole solo essere finalmente una ragazza normale, vivere la sua giovinezza, è questa volta vittima delle gelosie e violenze del fratello maggiore, nonché di torture inimmaginabili da parte della polizia a causa di suo marito; una condizione che la induce a scappare in un incredibile tragitto lungo Turchia, Grecia, Albania, Bosnia, Croazia, insieme con oppositori politici, famiglie curde in fuga, sempre tra trafficanti senza scrupoli che chiedono continuamente soldi, e polizia feroce che gli dà la caccia; affamati, stanchi, sempre nell’incertezza, ma inseguendo la libertà che gli spetta.
Il libro di Attanasio descrive bene tutti i sogni e le speranze, l’amore, che vengono messi a dura prova, a volte cedono, e poi, al minimo segno, prendono nuova vita; e queste ragazze, ma anche le persone che scappano insieme a loro, tirano fuori una forza innata, e continuano imperterriti fino al raggiungimento del loro obiettivo.
Oltre le torture, oltre la violenza, quando non c’è più via d’uscita, non smettono di sperare, perché gli si pone davanti il bene, incontri fortuiti con persone buone e generose, che le fa ancora credere che esista un lato migliore dell’umanità. Nel caso di Yergalum sono il suo Dawit, la carezza di uno dei cacerieri, e i suoi connazionali con cui conviveva in Sudan, che si aiutavano l’un l’altro, rischiando anche la vita; per Aminata sua zia e le suore; per Shirin e sua figlia, Elissa la fattrice, che sorridente le accoglie e le rifocilla.
Attanasio apre un ulteriore squarcio su una realtà che conosciamo poco, o ci rifiutiamo di capire fino in fondo. In Italia l’argomento profughi, immigrati, solleva sempre un gran polverone, divide il Paese in due, tra chi si adopera per aiutare, per costruire centri per ogni tipo di assistenza, e chi invece pensa a rimandarli “a casa loro”, senza comprendere la condizione di chi arriva qui, la terribile odissea (perché di questo si tratta) che attraversano per poter vivere semplicemente la propria vita.