Il lato gotico di “Uno studio in rosso” in scena a Roma
Lo Stabile del Giallo conclude la stagione con “Uno studio in rosso”, la prima celebre avventura di Sherlock Holmes
di Alessia Carlozzo (@acarlozzo)
Sul palco nessuna luce. Una profonda oscurità avvolge la sala dello Stabile del Giallo. Il pubblico è in attesa di un segnale, un suono, un’entrata. Una candela, la cui fiamma fioca e tremante illumina una scritta rosso sangue “RACHE” su un vecchio muro decrepito, è l’unica presenza visibile.
Si respira una palese aria da brivido. Poi qualcosa accade. Su uno schermo viene proiettato un ‘omicidio, l’inizio della storia che stiamo per vivere. Bianco e nero, nessun colore a descrivere l’assassinio appena commesso, così in contrasto con quella scritta scarlatta che provoca quasi un senso di fastidio, di disagio.
Il filmato finisce, il telo scompare e le luci si accendono. Inizia così all’interno di una vecchia casa londinese con la scoperta di un cadavere, la trasposizione teatrale di Raffaele Castria di “Uno studio in rosso” primo romanzo di Sir Arthur Conan Doyle e relativa nascita dell’icona della letteratura gialla. Sherlock Holmes, interpretato da Antonio Palumbo, incontra il suo futuro coinquilino Dottor Watson (Rocco Piciulo) e subito lo trascina con sé nelle sue indagini.
La storia per gli amanti del genere è piuttosto nota. Due omicidi, Scotland Yard e i suoi buchi nell’acqua, una ragazza legata misteriosamente a una vecchia storia di amore e morte e infine una fede nuziale.
Ciò che colpisce di questa trasposizione teatrale, in scena fino al 12 maggio per l’appunto allo Stabile del Giallo di Roma, è lo stratagemma ideato per raccontare non solo l’antefatto e quindi l’omicidio iniziale, ma anche l’intera parte dedicata ai mormoni e alla storia dell’assassino Jefferson Hope (Attilio Fabiano) in chiave cinematografica. In particolar modo proprio il secondo atto si apre con la storia di Lucy (Lorenza Damiani) personaggio chiave della storia e del suo rapporto tormentato con Hope, raccontato attraverso un film muto in bianco e nero.
Un’idea che aiuta a regalare un tono più drammatico alla storia, evitando così di ridurla a un mero giallo dallo schema prefissato: assassinio, indagine, soluzione. Ed evitando allo stesso tempo, di incentrare tutta la rappresentazione sul personaggio di Sherlock Holmes con il rischio di ridurre la sottotrama legata ai mormoni a semplice contorno della storia.
L’elemento cinematografico ben si sposa, inoltre, con il tono gotico che la storia assume nel corso della rappresentazione. Non si assiste semplicemente alla risoluzione del caso, grazie al noto metodo deduttivo di Holmes, ma si percepisce un’aria sempre più oscura e a tratti angosciante, che regala a “Uno studio in rosso” sfumature quasi da ghost story grazie alla presenza in svariate scene del personaggio della già citata Lucy, qui in veste di fantasma.
Le sue continue incursioni, le movenze quasi da ballerina (l’abito nero potrebbe anche ricordare il noto Cigno Nero) le luci soffuse e il mistero finale sulla sua comparsa in un altro “corpo” sono decisamente l’ingrediente vincente dello spettacolo.
Il pregio quindi al regista di aver arricchito un’opera già estremamente vincente con innovazioni lontane dal testo ma che si sposano perfettamente insieme. Scompare perciò il focus sul personaggio principale, a tratti si ha l’impressione che Sherlock Holmes sia solo il mezzo necessario per raccontare una storia dal respiro più ampio.
Forse potrebbe essere questa la pecca maggiore per gli amanti del noto personaggio, che si aspettavano un maggior accento su Holmes e le sue tecniche deduttive, ma che rimane una scelta vincente dal punto di vista della rappresentazione teatrale.
Non solo un giallo o una matassa da dipanare “in cui scorre il filo rosso del delitto”, quanto anche una storia di passione, di dolore e di rabbia.
Uno studio in rosso
Stabile del Giallo,Via del Sesto Miglio 78 Roma
fino al 12 maggio
info: 06 33 26 27 99