Calcio, lo sport più amato dalle mafie
Dove ci sono soldi e affari arriva la malavita e a farne le spese è lo sport più amato dagli italiani. Le condizioni del calcio italiano analizzate nel libro “Football clan” da un suo appassionato d’eccezione, il magistrato Raffaele Cantone
di Marina Cavaliere
@CavaliereMarina
Quanto scalpore hanno fatto le immagini di Mario Balotelli in giro per Scampia scortato dai boss locali? Sicuramente non meno di quelle del bomber del Palermo Miccoli col figlio del mafioso Lauricella, così come la notizia della tentata scalata alla Lazio da parte del clan dei Casalesi.
Notizie a cui, però, dopo l’attimo di stupore, ci abituiamo subito. D’altronde, dopo i vari Calciopoli e Scommessopoli, abbiamo capito che lo sport più amato dagli italiani è ormai sporco e corrotto.
A quanto pare, non sono solo gli italiani ad amarlo più di qualsiasi altra cosa: il calcio, ormai da anni, è diventato lo sport più amato dalle mafie perché è un affare e dove girano i soldi, la malavita allunga i tentacoli. Partite combinate, scommesse clandestine, racket a bordo campo, merchandising tarocco, appalti sui nuovi stadi sono solo alcune voci di un bilancio miliardario. E molto sporco. Ma non è solo una questione di denaro: il football è anche potere.
Parola di Raffaele Cantone, magistrato con la passione del calcio, che sull’argomento ha pubblicato “Football clan” (Rizzoli), libro scritto a quattro mani con il giornalista Gianluca Di Feo. Cantone ha fatto parte della Dda di Napoli dal 1999 al 2007 e in quegli anni ha inferto gravi colpi al clan dei Casalesi ma ha anche potuto seguire da vicino e capire le logiche dei boss.
Ospite all’Associazione daSud di Roma, il magistrato ha spiegato perché a suo avviso il calcio oggi è cambiato: “Il problema calcio non è solo nazionale, la malattia di questo sport esiste anche altrove ma risente delle peculiarità di ciascun Paese e da noi è forte la presenza della criminalità organizzata. Il calcio è lo specchio della società italiana e con questo non mi riferisco alla crisi economica, perché la Spagna versa in condizioni peggiori delle nostre eppure non ha avuto bisogno di vendere Messi e il Barcellona rimane una delle squadre più forti al mondo”.
Fama, potere e denaro: tre degli ingredienti che più in assoluto interessano alla malavita. Il calcio li ha tutti e sovente i big del pallone diventano involontariamente un mezzo pubblicitario che i boss sfruttano per dimostrare e imporre il loro peso nella società. Questo è quanto capitato, per esempio, al milanista Mario Balotelli che non molto tempo fa, fu avvistato a girare tra le vele di Scampia, scortato dal figlio del boss Lo Russo. “Spesso i calciatori diventano loro malgrado merce di scambio per scopi mafiosi – spiega Cantone – e questo è quanto capitato al bomber del Milan che era stato invitato nel famigerato quartiere della periferia di Napoli da un noto imprenditore locale, che poi si è scoperto essere un riciclatore del denaro sporco proprio di Lo Russo”.
Ma dalla Serie A fino ad arrivare a quelle minori, dare tutta la colpa della malattia del calcio solo ed esclusivamente a fattori esterni non è proprio quanto di più vicino alla realtà. Gli scandali di Calciopoli e Scommessopoli sono un chiaro segnale di come questo sport abbia una buona dose di virus anche al suo interno. Come dimenticare la vicenda del portiere Marco Paoloni, uno dei personaggi di spicco dello scandalo scommesse, che è arrivato a somministrare ai suoi compagni di squadra della Cremonese dei calmanti nell’intervallo della partita (venduta) contro la Paganese? E di episodi del genere, al limite del grottesco, ce ne sarebbero molti da raccontare. “Io credo che una buona parte della malattia del calcio sia all’interno – afferma il magistrato – e questo sport si potrà rigenerare solo se dall’interno arriveranno segnali forti per consentire la riforma che deve seguire a mio avviso tre strade: una revisione della giustizia sportiva, affrontare la questione calcioscommesse in un’ottica completamente diversa che escluda le sirie minori più soggette al rischio contaminazione e in ultimo provvedere alla repressione del merchandising falso”.
Ma, alla luce di quanto detto e scritto, Raffaele Cantone continua a essere un tifoso? “La passione è qualcosa di irrazionale e si trasmette non per una scelta logica ma per un modo irrazionale di essere e quindi sì, continuo ad amare il calcio”.