Il teatro in Italia: armarsi di creatività per uscire dalla crisi
Il Teatro in Italia è sempre più provato dalla crisi. Valorizzarlo restituirebbe nuova linfa vitale al sistema culturale di un Paese che potrebbe vivere del suo patrimonio artistico
di Isadora Casadonte
Il 27 marzo si celebra fin dal lontano 1962 la Giornata Mondiale del Teatro. L’iniziativa prende forma nel ‘61 a Vienna, su proposta di Arvi Kivimaa, per poi coinvolgere i Centri Nazionali dell’ I.T.I. (Istituto Internazionale del Teatro) sparsi in tutto il mondo. A partire dal progetto di cooperazione artistica tra i popoli e di sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito alle Arti della Scena, un atto simbolico dal respiro universale diventa la condivisione del “messaggio internazionale”.
Ogni anno infatti, il mondo del teatro sceglie tra i suoi numerosi componenti un membro che ne urli a voce alta la più intima essenza e sia in grado di diffondere con le parole scelte un invito alla collaborazione e alla crescita artistica collettive. Una volta redatto, il messaggio internazionale viene quindi tradotto in diverse lingue e poi inviato a raggiungere quante più persone possibili, grazie ai canali di comunicazione radio, tv e web. Quest’anno la personalità scelta per questo importante compito è Dario Fo.
Eppure la risonanza della Giornata Mondiale del Teatro in Italia non è stata molto vasta, le iniziative eccezionali previste da questa celebrazione (programmazioni speciali, distribuzione gratuita di biglietti per gli spettacoli, conferenze e tavole rotonde sul teatro, oltre a trasmissioni radio e tv appositamente dedicate) non hanno incontrato particolare attenzione, o non ci sono state affatto. Insomma, la crisi ha investito in pieno petto anche il Teatro. Il mondo dell’arte e della cultura hanno risentito pesantemente del naufragio economico dell’Italia, ed il taglio dei fondi oltre alla mancanza, a volte, di nuove strategie di gestione hanno provocato il tentennamento di numerosi organismi artistici.
Ovviamente la situazione è diversa a seconda delle aree geografiche, della loro amministrazione e del sostegno economico riservato alle risorse culturali, eppure non sfuggono gli aspetti comuni. Per entrare nel merito, è utile riportare le parole di Alessandro Berdini (Presidente dell’Associazione Teatrale per i Comuni del Lazio) che compaiono in un’intervista dell’anno scorso sul Corriere della Sera: “Abbiamo una classe dirigente molto miope. In Italia entro poco tempo sparirà l’industria. Restano due grandi possibilità che possiamo coltivare: il turismo e la cultura dello spettacolo. E nessuno ci può copiare“. Investire nella cultura e negli spazi ad essa adibiti, si rivelerebbe quindi una scelta intelligente. Un maggiore coinvolgimento del pubblico è poi, com’è ovvio, un altro importante fattore.
Il segreto per far in modo che il pubblico, nonostante la crisi, non rinunci al nutrimento culturale del teatro, è quello di farne avvertire la necessità. Ogni teatro deve farsi promotore di se stesso e conquistare uno spazio maggiore tra i desideri di una collettività che di questi tempi è costretta a spendere imponendosi delle precise priorità. L’Eliseo di Roma, per promuovere la stagione 2009-2010, aveva diffuso uno slogan che rende perfettamente l’idea di questo concetto: “Rinuncio a tutto. Non al teatro”. Questa frase compariva sotto l’immagine di una platea composta da spettatori seminudi.
Nella stessa direzione si muove anche la campagna di quest’anno del Teatro Rosini di Lucignano, che si serve a sua volta della potenza evocatrice dell’immagine (che di questi tempi è lo strumento principe per attrarre l’attenzione) per puntare l’accento sul teatro come bene di prima necessità.
Nonostante la crisi, le attività artistiche cercano quindi ugualmente di mantenersi in vita. Vince chi non si arrende. A Roma certo non mancano festival auto-organizzati e circuiti indipendenti che pur con pochissimi mezzi cercano di dare voce alle novità e allo spirito intraprendente dei più giovani. E c’è poi chi vuol farsi sentire con una voce ancora più alta, con un progetto di autogestione che mira a sradicare le pratiche di gestione fin ora perpetuate dalle istituzioni. Si legge sul sito del Teatro Valle di Roma: “Il 14 giugno 2011 abbiamo occupato un teatro del 1727 per attuare una rivolta culturale. Siamo in continua trasformazione.” e ancora: “il fare comune è un’alternativa concreta per sottrarre le nostre vite e il nostro lavoro agli effetti della crisi e delle politiche di austerità”. Partecipazione diretta e cooperazione sono quindi le parole d’ordine per la fucina di conoscenza e di sviluppo del pensiero critico che il Valle rappresenta.
Non resta che sperare allora, che la crisi possa diventare spinta propulsiva per fare di più, per fare il nuovo, così da poterci rivelare, pur nelle immense difficoltà, nuove opportunità. Leggiamo la parte finale del messaggio internazionale di Dario Fo: “Perciò l’unica soluzione alla crisi è sperare che contro di noi e soprattutto contro i giovani che vogliono apprendere l’arte del teatro si organizzi una forte cacciata: una nuova diaspora di commedianti che senz’altro, da quella imposizione, sortirà vantaggi inimmaginabili per una nuova rappresentazione“.