La parola “green” non basta per combattere il lavoro nero
La scoperta di lavoratori in nero nel fotovoltaico pugliese ci porta a riflettere sulle possibilità dell’economia ecosostenibile
di Rosa Fenoglio
Tra i record negativi che caratterizzano il nostro Paese si può senza dubbio annoverare quello che riguarda il lavoro nero. L’Italia, infatti, rimanendo all’interno dell’Unione europea, è seconda solo alla Grecia per quanto riguarda l’assunzione di lavoratori in assenza di regolare contratto.
Le speranze per combattere il fenomeno del lavoro sommerso, non dignitoso per il lavoratori e dannoso per le casse dello Stato, erano state riposte sia in un cambiamento della legislazione nazionale sia nello sviluppo di forme economiche alternative, una su tutte la green economy.
Se con il termine “green jobs” non si intende soltanto il lavoro prodotto nel settore delle energie rinnovabili, ma quello che denota una propria sostenibilità etica e ambientale, la recente scoperta di 329 lavoratori in nero nel settore del fotovoltaico pugliese ci riporta con i piedi per terra e ci ricorda quanto l’illegalità sia molto spesso un habitus difficile da dismettere.
Nessuna persona avveduta avrebbe potuto realmente pensare che l’aggettivo “verde” attaccato alla parola “lavoro” sarebbe stato sufficiente a rendere i business ecocompatibili puliti in senso etico. Anche se è proprio ciò che, secondo un atteggiamento ingenuo e fiducioso, ci si aspetterebbe.
Tanto per cambiare la famigerata, ma reale crisi non aiuta la diminuzione del fenomeno del lavoro in nero, spesso sinonimo di sfruttamento, lesione dei diritti e insicurezza.
Da una parte chi ha bisogno di sopravvivere si accontenta di lavorare senza badare alle condizioni e, dall’altra, le stesse imprese cercano in tutti i modi di abbassare i costi del lavoro, o meglio tranciarli di netto.
Il fotovoltaico ha un costo iniziale molto alto e i vantaggi dell’utilizzo di questo tipo di energia sono fruibili nel medio-lungo periodo e, sopratutto, non dovrebbero essere considerati esclusivamente sotto il punto di vista del semplice profitto. Nonostante ciò è opportuno ricordare i vantaggi prettamente economici che l’utilizzo di fonti di energia alternativa comporta.
Il dibattito economico attuale appare diviso in merito alla reale competitività che un sistema “verde” unito a un comportamento eticamente corretto verso i lavoratori può raggiungere.
In questo senso la green economy dovrebbe sempre essere contestualizzata all’interno di un quadro più ampio, che porti tutti, singoli e governi a interrogarsi in merito a quale strada oggi nel mondo sarebbe più sensato imboccare.
Il discorso sulle energie rinnovabili si deve inserire all’interno di un dibattito più ampio riguardante la cosiddetta crescita economica e gli strumenti attraverso i quali le società contemporanee misurano il loro progresso.
Se il business delle rinnovabili si sviluppasse nell’ottica della sola competitività economica e commerciale la sua attualizzazione nel breve periodo in assenza di forti incentivi statali apparirebbe perlomeno problematica e non aliena alle problematiche classiche che caratterizzano le dinamiche legate esclusivamente al profitto.
Il termine “investimento” dovrebbe oggi includere al suo interno una classe di oggetti più ampia rispetto al suo usuale utilizzo in termini economici: non un aumento del semplice capitale investito, ma un accrescimento della qualità della vita, la salvaguardia dell’ambiente e un senso di responsabilità verso le future generazioni.