Superare la crisi? Questione di “Fair Play”
Un progetto in “tre atti” per stimolare la solidarietà. Intervista all’ideatore Marco Reale, attore e regista del film
di Valentina Palermi
“Erano giorni che avevo quell’ansia di voler fare qualcosa. Continuavo a leggere sui quotidiani, notizie che mi facevano (e mi fanno) stare parecchio male e avvertivo senso di impotenza”. Confidenze mattutine con Francesca – Patti, la sua compagna –, una riflessione – “Che stai facendo tu per farla smettere?” –, e “il pensiero scatenante” – “Chissà quanta gente nella mia stessa situazione, sola, non fa nulla perché non se ne sente in grado. C’era bisogno di farle uscire allo scoperto, con la promessa che saremmo stati insieme” –.
Così Marco Reale comincia a parlare del suo progetto no-budget FairPlay (dall’inglese, letteralmente, gioco corretto), un film gratuito online dal 21 marzo, e anticipato da alcuni teaser, che mette in scena quattro storie italiane dove ogni riferimento a fatti o persone non è puramente casuale. “La stessa sera, Silvia Lombardo – che non conosceva bene, ma aveva già incontrato per lavoro tempo fa – pubblica la foto che è stata ripresa nel film e mi dimostra che qualcuno la faccia stava già iniziando a metterla, anzi, nome e cognome. Così, preso il coraggio a quattro mani, le scrissi e da lì…”.
Nasce un lavoro che gioca sulle reazioni dei suoi personaggi (interpretati da Valentina Bruno, Giorgio Filonzi, Luca Loconsolo, Antonio Losito, Ludovica Di Donato, Marzia Mangiasciutto, Linda Rea, e Suzy Suarez), che si sono “lasciati guidare”, mettendo in scena “la loro umanità, intesa come fragilità, e non qualcosa di esemplare”. I protagonisti sono prima di tutto sleali con sé stessi, per poi non essere sinceri con gli altri. Nella prima storia “non è un ‘giusto’, piuttosto una persona che fa scelte deprecabili, ma d’altra parte solo nel suo voler essere un padre di famiglia che protegge i suoi cari, trattato in maniera indegna come un numero dalla società”.
Si parla poi di “etica”, e su come si possa spezzare il cerchio del menefreghismo non accettando la soluzione che ci pare più semplice, perché “se fossimo lungimiranti, sapremmo che ‘gli altri’ sono anche nostro figlio, o nostro fratello”, seguito dall’episodio che presenta “il confronto diretto tra paura di perdere quel po’ che si ha – situazione cardine di questa crisi economica – e coraggio, dettato dal bisogno”.
“L’ultimo intervento, l’epilogo cinematografico, rappresenta quello che non dovrebbe mai succedere”. Un “gesto estremo voluto, dosato e introdotto. Una provocazione, ma anche un modo per onorare chi ha deciso di fare un gesto estremo perché offuscato da ‘fantasmi’ che si sarebbero potuti sconfiggere in altro modo”. E soprattutto un pensiero “al 1963, quando un monaco buddista, per iniziare la vera e propria ribellione contro la dittatura cinese, si diede fuoco in piazza, durante una manifestazione. Scatenò l’ira del suo maestro, ma lo fece con la convinzione che non esista ribellione senza un martire. Un pensiero che rifuggo e trovo insensato, ma rispetto una scelta così forte, che potrebbe scattare nella mente umana e trasformarsi in ‘altri anni di piombo’. Dobbiamo fare qualcosa, dando spazio alla solidarietà”.
Già, perché “senza solidarietà, senza fair play, non si va avanti”. “Il film non è la soluzione”, ma può “accendere una miccia”, parlando della situazione odierna e delle conseguenze di un atteggiamento egoistico che punta a “pensare al proprio orticello”.
“A raccogliere le persone che vogliono fare qualcosa e far sì che si aiutino a vicenda” non penserà tanto la pagina Facebook, quanto il sito, Una piattaforma, una piazza virtuale, una community di persone provenienti da entrambi i lati della barricata, pronte ad aiutarsi, a dire la loro attraverso soluzioni, sostegno, disponibilità. Una “piccola web-tv che offrirà interviste ad avvocati, commercialisti, artigiani, professionisti e tutti coloro che giocano corretto, che vogliono metterci la faccia, che vogliono dare il loro contributo”. In questo modo “abbiamo la possibilità di raggiungere tutta l’ampiezza ‘internettiana’, ma ognuno si renderà responsabile delle cose che dice… una sensibilizzazione non indifferente”. In fondo, “non costa niente aiutare, ma a chi lo riceve, l’aiuto può cambiare la vita”.
“Faccio parte di quella schiera di italiani che sarà costretta a partire perché qui anche sopravvivere ormai è impossibile. Ma io non voglio”, ci confida Marco Reale. Può darsi che l’iniziativa non abbia successo, ma almeno “invece di rimanere uno di quelli che si lamenta ma che non prova, avrò tentato di fare qualcosa”.
Quantomeno in ambito culturale, che “mai come in questa generazione, è condiviso da pochi”. Soffre la società, come anche quell’arte agonizzante, costretta a confrontarsi con un pubblico che deve farsi i conti in tasca – e che se spende, deve essere certo che ne valga la pena –. “È per questo che ho pensato ad internet: un prodotto gratis e arriva direttamente a casa loro”. Ma allora perché l’arte non muore? “Perché è magia che non puoi rifuggire. Forse poche persone, rispetto alla grande quantità di corpi che animano la nostra nazione, ne sono attratte ma esistono”. Una piccola percentuale che riesce a mantenere la cultura in vita.
E che porta Marco Reale a essere fiducioso: “c’è un grosso cambiamento nell’aria. Ne sono certo, lo si sente. Dobbiamo soltanto resistere, resistere ancora. Nonostante tutto. Ho ancora fiducia nelle persone”.
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