Comunque vada sarà un in-successo
È passato più di un mese dal voto e il Pd appare sempre più in difficoltà. Ma oggi è necessario dare un segnale forte ad un paese che merita di uscire dalla crisi
di Alessia Ricci
Da un lato vi è l’impasse istituzionale sulla formazione del governo. Il Pd ha dimostrato di possedere una consolidata incapacità a saper leggere la situazione politica e a saper cogliere le necessità del Paese che lo hanno condotto, di fatti, ad inseguire Monti in campagna elettorale.
L’errore principale di Bersani è stato quello di sopravvalutare il fenomeno Monti. Le ribadite aperture ai tecnici hanno permesso a Grillo di presentarsi come l’unica alternativa all’inciucio e alla “Casta”: la marea dei senza-rappresentanza, dei delusi del governo Monti, hanno rinvenuto nel voto al M5S lo strumento migliore per porre fine al teatrino della politica di palazzo.Il Pd non aveva colto tali difficoltà, se ne sono accorti, però, gli elettori che hanno decretato la certificazione simbolica del fallimento totale dell’esperienza di Monti e dei tecnici.
Nel post-voto il Pd compie una svolta, con un Bersani che smette di inseguire Monti – ormai fuori dai giochi – in nome del cambiamento e di una rottura col passato: ed ecco gli 8 punti, le elezioni di Laura Boldrini e Pietro Grasso a Camera e Senato, le proposte dei tagli ai costi della politica. Ma il Pd ha una consolidata vocazione all’opposizione ed è ormai tardi. Un centrosinistra che se avesse detto queste cose prima del voto avrebbe stravinto alle urne, e ora non si troverebbe nella condizione di dover scegliere tra inseguire Grillo o l’inciucio con Berlusconi.
Dall’altro lato la lotta tra Renzi e Bersani che mina l’unità stessa del Partito. La disputa tra Pierluigi Bersani e Matteo Renzi non è nuova, anzi, ha costituito l’unico brandello vero di campagna elettorale, quello che si è svolto durante le primarie dell’autunno 2012. Oggi la polemica tra i due contendenti del Pd si ripresenta come se nulla fosse accaduto, questo perché la sede di Palazzo Chigi è vuota e nel Pd i giochi restano aperti. Il timore maggiore del Sindaco di Firenze è proprio quello di un successo di Bersani sostenuto da un inquilino “amico” al quirinale, come Romano Prodi. Alcuni osservatori sostengono che sarà proprio l’elezione del Presidente della Repubblica a decretare il vincitore o a dire se a perdere saranno entrambi.
L’ipotesi di scissione è presa sempre più in considerazione anche dagli stessi esponenti del partito. Solo due gli scenari possibili e il primo è che la rottura si compia a sinistra: D’Alema in primis ha sostenuto: “se Renzi conquista il partito io me ne vado con Vendola”. Il secondo è che la scissione – con maggiore probabilità – si produca a destra, con il partito che si compatta attorno a Bersani che rende complicate le primarie e in qualche modo costringe Renzi a diventare leader di un altro partito: il suo.
Il rottamatore nega: “ci sono già troppi partiti, sarebbe stupido farsene un altro”. In realtà si sta organizzando sul serio. Manca un nome e un simbolo, ma ci sono i finanziatori, una macchina organizzativa e un programma. Matteo Renzi punta al voto, secondo un sondaggio condotto in esclusiva per “Agorà” su Rai Tre, un Pd capeggiato dal sindaco di Firenze conquisterebbe oggi il 36% dei voti, un risultato che realisticamente garantirebbe la maggioranza sia sul centrodestra che sul Movimento 5 Stelle.
I Partiti appaiono deboli e gli elettori preferiscono investire sulle persone. Il problema maggiore del Pd è proprio quello di essere una classe dirigente in lotta ma senza partito, “una casta attaccata a simulacri di potere”, come sostiene più di qualche voce fuori dal coro.
Oggi è necessario che il Pd prenda piena consapevolezza del suo essere una forza a vocazione maggioritaria e si assuma le proprie responsabilità nei confronti di un paese che non può più restare a guardare attori da teatrino che lottano per il potere. E’ doveroso per il Pd “rimboccarsi le maniche” e lavorare per un’agenda politica alternativa alla crisi. Questo per non restare schiacciati nella morsa di Beppe Grillo, che non può e non deve rappresentare la vera alternativa per i linguaggi che utilizza, per la neutralizzazione delle differenze tra destra e sinistra, per la sua stessa idea di democrazia. Serve una proposta capace di trasformare la richiesta di cambiamento in azione politica diretta.
(fonte immagine: www.befan.it)