Il rigido clima dell’Asia
Dichiarazioni, avvertimenti e minacce da quel lembo di terra nordcoreano che quotidianamente sfida sprezzante Seul, Usa e Giappone
di Martina Martelloni
E così è giunto, quel fatidico e tanto atteso 10 aprile. Fiato sospeso per la quasi totalità della comunità internazionale, dopo che per lungo tempo Pyongyang ha urlato al megafono la sua intenzione di uscire dalla gabbia, di ruggire. E magari, chissà, forse anche attaccare.
Dopo il chiaro e diretto avvertimento lanciato agli ambasciatori stranieri per una loro immediata fuga dal territorio, il regime del giovane e curioso personaggio Kim Jong-un lancia sassi nascondendo poi giocosamente le mani. Forse si, è solo un gioco il suo. Il gusto di creare un po’ di movimento in un’area geografica che da tempo è monopolio mediatico della Cina. Di Pechino, parlano tutti e tutto.
O forse è solo paura, un timore crescente che si assapora con intensità oltrepassando i limiti della diplomazia e guardando negli occhi il nemico con le armi puntate. La Corea del Nord oggi non ha sventato nessun lancio missilistico. Nessuna bomba, neppure un tiro di rivoltella. Vuoto nel vuoto. Si festeggia, in compenso. Con parate militari, filmati patriottici e musiche inneggianti alla Nazione. Tenendo alto il morale guerriero di un popolo che probabilmente non respira nemmeno quella stessa aria di minaccia che i media internazionali fanno invece respirare noi.
Il 12 dicembre del 2012, Pyongyang ha lanciato un razzo con satellite allegato da lasciar vagare in orbita. Un mese dopo, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha puntio l’azzardo con una risoluzione di condanna e conseguente estensione delle sanzioni già in atto.
Uno dopo l’altro, test nucleari ed esercitazioni militari sono stati la risposta alle domande esigenti della comunità internazionale sul perché e soprattutto per quanto tempo perseverare sulla via della guerra oratoria. Dal basso, la reazione di Seul è la calma e paziente. Gli Usa sono al suo fianco, con le sue basi militari e quella voce potente da colosso mondiale che ha più volte invitato alla calma e ragionamento. A seguire il Giappone, altro illustre spalleggiatore della Corea del Sud.
E poi, una sorpresa: anche la Cina ha mostrato accenni di disappunto. Come una maestra si è fatta carico di parole indirizzate a chi sembra intendere di voler graffiare il velo di pace nella regione asiatica. Nessun chiaro riferimento a Pyongyang, come neppure nessun chiaro avviso di corsa alle armi in caso di aggressione nordcoreana ai fratelli-rivali del Sud.
Pochi giorni fa, il 3 aprile, Kim Jong-un ha tirato fuori gli artigli. O per lo meno ha fatto finta di estrarli, negando l’accesso al complesso industriale di Kaesong ai sudcoreani. La struttura si trova al confine tra i due Stati ed è il frutto di tentativi di cooperazione tra i due poli avviati nel 2003.
Più o meno ognuno di noi si sarà posto la seguente questione: perché mai giocare al gioco della guerra minacciata, ostentando file interminabili di soldati e bandiere orgogliosamente e vistosamente esposte con un primo piano sul trono del novellino Kim? Sono in molti, soprattutto negli Usa, a credere che tutto questo, tutta questa ira coreana sia volontà di una costruzione per esaltare il ruolo ed il nome del potente di turno.
Troppo giovane ed inesperto per poter fronteggiare da solo un quasi totalizzante muro internazionale. Anche la protettrice Mosca ha scelto la via del rimprovero verso comportamenti rischiosi e poco credibili per un paese che è chiuso in una tale morsa di regime interno da rendere faticoso far trapelare notizie sullo status vivendi della popolazione, sul pensiero, sulla cultura.
Intanto la capitale nordcoreana corre a passo meticoloso verso un traguardo sorprendente, verso una ruota che fa girare i soldi e le informazioni. Anche in Corea del Nord c’è vento di cambiamento. La società lo respira e se ne appropria. Con lentezza e soprattutto con silenzio si procede verso l’accenno di un qualche spiraglio. Che rischia però di essere soffocato dal comportamento ostile e monopolizzante del governo-regime in atto.
I coreani del nord fanno tanto comodo ad un sacco di soggetti. Mettiamo che cadano, i primi a patire una folla di fuggiaschi saranno i vicini del sud: che non hanno a disposizione un continente a cui far pagare i costi dell’operazione, come invece fu il caso dei tedeschi.
Successivamente ci sarà da ridimensionare un enorme apparato militare divenuto inutile ed ingiustificabile: parliamo dello zio Sam. Tutte quelle basi in Asia potrebbero risultare mal tollerate. C’è un sacco di gente che augura di nascosto lunga vita al regime, dove meno ce la potremmo aspettare…..