Benvenuti nella giungla delle quote rosa…ma non troppo
Al Teatro Manhattan di Roma la pièce teatrale di Sasà Russo sulla differenza fra uomo e donna nella scalata al successo
di Francesca Britti
Un uomo, Filippo e due donne, Anna e Gabriella. Un sedia da dirigente libera in attesa di essere occupata dal migliore. Un direttore che mette alla prova le capacità personali, più che professionali, dei tre. Si scatena, così, la guerra “armata” fra accuse reciproche e pseudo riconciliazioni. Pane quotidiano sono la provocazione femminile e il lamento maschile. Due facce della stessa medaglia che non producono il risultato agognato, ossia la promozione.
La giungla delle quote rosa…ma non troppo, andata in scena ieri sera al Teatro Manhattan, affronta sotto la regia di Sasà Russo il tema del lavoro in chiave ironica. Si parla costantemente dell’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, di quanto le donne ricevano, rispetto al resto d’Europa, uno stipendio in media più basso di quello degli uomini e soprattutto della loro esclusione dalle posizioni di prestigio, quasi sempre riservate al sesso maschile.
Una commedia brillante che, quindi, scava nei comportamenti e nei pensieri più intimi e nascosti dell’essere umano, della sua voglia di affermarsi, chi vendendosi come Gabriella che è l’amante del direttore e per le sue concessioni sessuali è convinta di occupare quel nuovo ruolo prestigioso, chi come Anna origlia i gossip dei colleghi e li cinguetta al direttore e chi, infine, come Filippo suda sette camicie per raggiungere quel ruolo, e di conseguenza quello status sociale, che lo ripagherebbe del duro lavoro e dei sacrifici fatti fino a quel momento.
I tre personaggi rispecchiano, quindi, quelle figure comuni presenti (purtroppo) in ogni ambiente lavorativo. E se da una parte essi vengono rappresentati con il tipico pregiudizio che contrappone il competente (Filippo) al nullafacente (Anna e Gabriella) e in particolare al secondo che vince sul primo nella scalata aziendale, da un’altra l’umorismo e la leggerezza che, caratterizzano lo spettacolo nonostante il tema così delicato e, sempre più spesso, drammatico, di questa rappresentazione lasciano un gusto più dolce che amaro e un sorriso sulle labbra.
D’altro canto per quanto possano apparentemente essere figure e scene “trite e ritrite” , quello che ci vogliono dire è che il sistema lavorativo, qualunque sia l’ambito, ha tutta l’aria di essere marcio. E poche volte si spicca per meriti. Meglio riderci su (almeno per una sera) sulla distruzione della meritocrazia, che viene sostituita, camuffata e fraintesa per qualcos’altro.
Il merito, allora, va alla compagnia che da anni porta in scena questa pièce e che regala loro “sempre tanta gioia“, la Compagnia Teatrale Iposcenio, che ha visto in scena, al Teatro Manhattan, l’attore Alessio Salvatori nei panni di Filippo di cui prevale il senso del riscatto da dimostrare ad un padre ipercritico nei suoi confronti, l’attrice Silvia Ferrari che interpreta il personaggio di Anna e ne rappresenta il peggior vizio che è, al tempo stesso, la sua migliore “virtù” ossia fare la spia diventando il braccio destro del capo. Ed infine nel ruolo di Gabriella l’attrice Maria Elisa Barontini che riflette, con i suoi ammiccamenti e la sua apparente calma, la figura della donna arrampicatrice sociale.
Alla fine il colpo di scena, il direttore stanco di questa faida interna annuncia ai tre candidati che il futuro dirigente che siederà su quella famosa sedia è….la figlia, appena tornata dall’America, gettando nello sconforto, ognuno per i propri motivi i tre giovani, che vengono, però, prontamente scossi alla reazione da Filippo, proprio colui che si crogiolava nelle sue lamentele quotidiane. E sulle note di La despedida di Daddy Yankee si lanciano in un ballo liberatorio.