Curdi: quale futuro per un popolo senza patria?
Lo scorso 21 marzo Abdullah Öcalan, leader storico del PKK, ha annunciato un accordo con la Turchia. Tuttavia la strada verso la pace definitiva è ancora in salita
di Graziano Rossi
@grazianorossi
Una svolta che in molti definiscono storica, un passo che forse nemmeno gli stessi curdi si aspettavano. Il primo giorno di primavera di quest’anno, Abdullah ‘Apo’ Öcalan – capo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan che da ormai 14 anni sconta l’ergastolo nell’isola turca di Imrali – ha invitato i suoi ‘connazionali’ a deporre le armi e ritirarsi dalla Turchia, dirigendosi verso altre zone dove è presente il popolo curdo – vale a dire Siria, Iran e Iraq.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha ‘salutato’ positivamente le dichiarazioni di Öcalan – si mormora che qualora Ankara riuscisse a raggiungere col popolo curdo una pace vera e propria, Erdoğan rischierebbe addirittura di ricevere il Nobel per la Pace.
La realtà però è ben diversa da quanto riportato in lungo e in largo sulle colonne di più o meno tutte le testate del mondo: l’approvazione da parte della Turchia della richiesta di ‘cessate al fuoco’ dei curdi è solo un primo, piccolissimo passo, di quella ‘soluzione politica’ tanto auspicata che consentirebbe al mai nato stato del Kurdistan di intravedere un futuro più roseo.
Il pensiero non può che andare ai numeri del conflitto armato che ha segnato fino ad oggi la storia del popolo curdo. Correva l’anno 1984, quando i guerriglieri curdi avanzarono alla Turchia la propria richiesta di autonomia. Da allora sono passati quasi trent’anni e la contestazione verso il governo di Ankara ha provocato un bilancio di oltre 40mila vittime e una diaspora che ha coinvolto circa 1 milione e mezzo di profughi – che dalla regione sudorientale della Turchia si sono spostati verso tutte quelle aree mediorientali dove è nutrita la presenza di comunità curde.
Secondo Cemil Bayik, membro del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità Kurde (KCK), la soluzione della questione turco-curda è ben lontana dal poter essere considerata definitiva: “Il cessate il fuoco ed il ritiro delle nostre forze avranno senso solo se serviranno allo sviluppo della democratizzazione in Turchia ed in Medio Oriente” – si legge su un blog che sostiene la libertà del popolo curdo. La richiesta impartita da Öcalan ai suoi guerriglieri è vista di buon occhio da Ankara anche per le relazioni che la Turchia ha con l’Unione Europea – nell’ottica di un eventuale ingresso del paese nella UE, nel giro di pochi anni.
La questione curda, tuttavia, non coinvolge soltanto Erdoğan. Essa rigurda ad esempio anche l’Iran e in misura maggiore l’Iraq – nella cui area settentionale vi è una massiccia presenza di guerriglieri in fuga dalla Turchia. Proprio in questa zona – la cui capitale è ufficialmente Erbil, benché questa si trovi nella sfera d’influenza del governo di Baghdad – sembra sia possibile affermare che il Kurdistan in un certo senso esista. Qui è possibile trovare una bandiera, un parlamento, un esercito, una lingua e una frontiera – una volta varcata la quale, sembra proprio di poter entrare in un paese che ufficialmente non esiste ma che, forse, sarebbe giusto far nascere.
Considerando, poi, che Erbil è una città che sta vivendo una crescita industriale e commerciale esponenziale – a cominciare dal petrolio, passando dunque per il vino, i fast food e l’abbigliamento (principalmente italiano) – si capisce come in questa parte dell’Iraq si provi a cercare un benessere economico e sociale che in altre zone del Kurdistan è ben lontano dal materializzarsi.
Benessere che per i curdi presenti in Siria è un miraggio. Il conflitto interno nel paese guidato e massacrato da Bashar al–Assad vede la popolazione curda letteralmente in mezzo alle tensioni tra Damasco ed Ankara – tant’è che lo stesso Assad avrebbe promesso autonomia in cambio di uno schieramento anti-Erdogan.
Oggi però non c’è solo Öcalan a ‘guidare’ i curdi. Anche Massud Barzani, governatore di quel prospero Kurdistan iracheno, potrebbe riuscire nell’impresa di far riavvicinare – moralmente, ma soprattutto ‘fisicamente’ – circa 25 milioni di persone sparse tra Turchia, Iran, Iraq e Siria.
Bakir Ahmad, giornalista dell’agenzia stampa PNA vicina a Barzani, ha affermato che: “Un giorno il Kurdistan iracheno sarà certamente indipendente. E potrebbe anche allargarsi ad altre regioni curde. Ma non ora, sarebbe troppo presto. Persino i curdi siriani dovranno prima negoziare la loro autonomia con Damasco. La gradualità è necessaria. Ogni passo affrettato rischia di farci ricadere alle tragedie di venti o trenta anni fa”.
Il 24 marzo è il Newroz, il capodanno curdo, nel quale si ricorda, come leggenda narra, la vittoria degli oppressi sugli oppressori. Oggi, i curdi vivono ancora separati gli uni dagli altri nonostante si rispecchino sotto la Alaya Rengin, ‘la bandiera colorata’, simbolo di un popolo ancora senza patria.